Lettera aperta di un assistente sociale

di Michela Barbieri*

In questi giorni difficili, mentre la diffusione dell’epidemia ha portato a sempre più ristrette misure di protezione, c’è chi continua a lavorare per garantire i “servizi essenziali”. Si sentono giustamente ringraziare frequentemente i medici e gli infermieri che sono attivi in prima linea. Molto meno, e a mio modesto parere significativamente troppo poco, si parla degli operatori sociosanitari.

È evidente che è difficile ringraziare e valorizzare l’operato di tutte le figure attive nel garantire adeguata assistenza alle persone che ne hanno bisogno, dove certo non meno valore hanno ad esempio i tecnici di laboratorio, il personale ausiliario o i volontari che si attivano al fine di prendersi cura della propria società. Nonostante ciò, credo che l’importanza del ruolo e il numero di professionisti coinvolti sia valida ragione per imporci di inserire tra le figure da ringraziare quotidianamente quella degli operatori sociosanitari.

Questi professionisti non fanno un lavoro stimato come medici e infermieri, non hanno la loro retribuzione oraria, hanno una mansione più “umile” e sono spesso gli ultimi nominati nell’elenco delle figure che si prendono cura della persona, ma sono spesso le figure in assoluto più in prima linea.

Pur riconoscendo la rilevanza del ruolo anche nell’ambito ospedaliero, dove in questo momento la situazione è grave e difficile e dove l’operatore sociosanitario rappresenta, al pari del medico e dell’infermiere, un ruolo essenziale e indispensabile all’interno di un’équipe dove sono condivisi strumenti, procedure e competenze, è nell’ambito domiciliare che voglio portare l’attenzione al ruolo e alla condizione di lavoro di questa figura professionale.

Io non sono operatrice sociosanitaria. Parlo da coordinatrice orgogliosa di un gruppo di grandi professioniste che operano a domicilio: loro sono i veri soldati in trincea. Senza un confronto quotidiano con un’équipe multiprofessionale alle spalle, con maggiore difficoltà nella gestione delle misure di protezione personale dove l’attività si svolge in base alle condizioni familiari e abitative in modo più o meno pericoloso, dove quindi il rischio di contagio è più alto.

Ognuno di noi deve pensare che nel proprio Comune ci sono persone che mettono a rischio la propria salute e quella dei loro familiari, con timore e preoccupazione, per garantire i servizi assistenziali essenziali alle persone in condizioni di fragilità e/o non autosufficienza.

Professionisti della cura, che nonostante la “bardatura”, s’impegnano a garantire non solo l’intervento essenziale, ma quella relazione di cura, di sostegno, di cui le famiglie già in difficoltà (e ora ancor più sole) hanno estremo bisogno. A loro va riconosciuto il grande operato svolto.

Chiedo alle famiglie che sono beneficiarie della loro assistenza di riconoscere e rispettare il loro ruolo, aiutandole a tutelarsi: predisporre quanto necessario in modo che trovino tutto pronto e il loro intervento nel domicilio sia più breve possibile; relazionarsi ed entrare in contatto con loro solo da parte del referente, evitando i contatti con chiunque altro sia in casa (stando magari in stanze dove loro non devono entrare); garantire adeguata igiene e arieggiamento degli ambienti.

D’altro canto chiedo altrettanta attenzione alle assistenti sociali che si occupano di definire i casi da seguire e le attività da svolgere: chiedo di riconoscere il loro valore anche di persona da tutelare, attivandole per i soli servizi indispensabili e sospendendo tutti quelli non strettamente necessari, a tutela di ambo le parti; chiedo di dare loro un maggiore spazio di ascolto, dove possano essere accolte le preoccupazioni di chi non può tutelarsi con lo smart working o restando a casa; chiedo di essere sempre pronte e tempestive nel confronto quando ci sono timori rispetto al contagio con loro e con i loro coordinatori che si occupano di garantire la loro sicurezza in quanto lavoratori.

Agli operatori sociosanitari va in particolare il mio pensiero e chiedo, se gliene arriverà la voce, anche al Clero e al Papa di fare una preghiera particolare per loro che ogni giorno si prendono cura di chi ne ha bisogno nell’ambiente più importante e più difficile di tutti: nelle nostre case.

Parlo inoltre da collega di un gruppo numeroso di professionisti che operano nel settore residenziale, dove le famiglie non possono più portare fisicamente il loro affetto ai cari che vi ci vivono e dove questo affetto è portato quotidianamente dagli operatori, dai fisioterapisti, dai medici, dai logopedisti, dagli infermieri, dagli educatori, dai coordinatori che si stanno prodigando per colmare questa lacuna, attraverso innovativi sistemi di contatto con i familiari e con un’attenzione e una cura ancora maggiore all’assistito come al familiare che rimane chiuso all’esterno.

Se fin troppo spesso dai mass media le strutture residenziali sono presentate come luoghi di abbandono, è fondamentale ricordare che tale rappresentazione è invece reduce di stereotipi che non rispondono alla categoria attuale nel suo complesso. È fondamentale ricordare che il domicilio è dove la persona vive, anche se è una struttura residenziale, e per tale ragione è da riconoscere l’operato di chi in questi giorni difficili si occupa di garantire sicurezza, salute e affetto a chi vive in queste grandi “case”.

Questa mia lettera non è esaustiva di tutti gli ambiti d’intervento, né dei pensieri e riflessioni che si possono spendere sul tema. Ci tenevo però a condividere questo pensiero con la più ampia cittadinanza perché, davvero in ogni città, gli operatori sociosanitari stanno garantendo un servizio che non può e non deve essere dimenticato, sottovalutato e dato per scontato.

A tutti loro, da parte mia, un sentito ringraziamento e la mia massima stima.

*Assistente sociale

 

Ndr: Sul tema “Emergenza Coronavirus” e servizi e professioni sociali segnaliamo che su Welforum.it stanno uscendo molti articoli raccolti nel Punto di Welforum: “Emegrenza Coronavirus: tempi di precarieà”.

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