L’educatore domiciliare. Una triplice professione

di Tiziano Martinelli*

L’educativa domiciliare è il grande mistero delle professioni educative, almeno per i non addetti ai lavori. L’educatore domiciliare è, a tutti gli effetti, un pioniere dell’educazione, un’avanguardia. Entrare nelle case dei bambini e ragazzi, condividere la loro quotidianità, espandere la propria azione alla famiglia, facendo forza su di un mandato labile e dai confini a volte eterei e, sovente, impercettibili, è, da una parte la sfida principale e, dall’altra, la difficoltà strutturale di questo lavoro. Tiziano Martinelli, educatore da anni impegnato nel servizio di educativa domiciliare del Comune di Firenze, ci accompagna in un viaggio nelle pratiche quotidiane e nelle riflessioni pedagogiche di una triplice professione che si dipana tra minore, famiglia e mandato educativo, con l’anelito imprescindibile di ricomporre l’intero quadro dei servizi. 

Se passeggiando in una piazza, sul marciapiede o al semaforo, incontriamo qualcuno che manifesta evidenti segnali di disagio, potremmo anche esserne temporaneamente colpiti, ma l’effetto spesso non dura più di qualche secondo. Chronos, l’implacabile amministratore del tempo, plausibilmente, vanificherebbe quella digressione non preventivamente concordata. Eppure proprio questi intermezzi, senza orario determinato, per noi sapiens sapiens, costituiscono l’unica corsia privilegiata per una puntuale introspezione delle nostre emozioni.

Al disagio, quello cosiddetto “certificato”, nel nostro ruolo professionale, siamo invece come chiamati a sederci accanto, a misurarne con mano tonalità e sfumature, fin quasi a toccarne l’anima. Da quando varchiamo un portone, saliamo le scale o prendiamo l’ascensore, fin sopra lo zerbino, quando facciamo capolino in una particolare situazione familiare, siamo come travolti dai suoi segnali premonitori. L’interazione con l’altro da noi rappresenta, infatti, quel fil rouge che, simile a un evento carsico, riaffiora improvvisamente, per predisporci a quel particolare microclima, ogni qual volta abbiamo in serbo di ritornarci per un nuovo incontro.

Le relazioni umane, di cui anche quelle educative sono parte integrante, possono quindi inaugurare degli scorci inediti, da cui poter svelare abilità, spesso del tutto misconosciute, oltre che sottovalutate e sottostimate. Concepire il soggetto in educazione come co-costruttore del proprio percorso di vita, anziché impaludarci in un approccio educativo di eterodirezione, mobilitato attorno al deficit, implica infatti il sostegno a quello che in gergo è definito l’empowerment, vale a dire l’ampliamento cognitivo e emotivo dei suoi orizzonti interiori e esteriori, tale da consentire la dilatazione del  proprio possibile.

Esserci soffermati sulle sovrapposizioni, almeno per alcuni tratti, tra la nostra esperienza e quella di questa figura professionale ha rappresentato l’inaspettata occasione per poter finalmente accogliere quelle sensazioni e impressioni che durante l’azione educativa rischiano altrimenti di scivolare nell’oblio del tempo. Intricati frangenti in cui biografie individuali, romanzi familiari e costellazioni sociali si intrecciano e confondono tra loro. Strade senza sfondo e porte chiuse, ma anche terre di mezzo e di passaggio.

A circa quarant’anni dalle prime esperienze di Genova e Milano, per quanto riguarda l’educatore domiciliare, non possiamo non ribadirne un funzionamento – per così dire “con il freno a mano tirato”. Un educatore e un bambino durante un gioco, un’educatrice seduta accanto alla ragazzina, impegnata nello svolgimento dei compiti, se colti attraverso l’immediatezza di uno sguardo, potrebbero benissimo essere interpretati come qualunque altro soggetto legato da un rapporto di parentela o tutt’al più di babysitting. Limitarsi al solo campo visivo immediato, ricavato da alcuni fermi immagine, pregiudicherebbe però sia la comprensione della progettualità educativa che l’origine, generalmente complessa, di un malessere intimamente vissuto. Tutti i traguardi educativi, e in special modo quelli che si pongono negli ambienti di vita quotidiana, non dipendono infatti esclusivamente da fattori endogeni, vale a dire quelli interni alla relazione duale tra l’educatore e i soggetti in età evolutiva. Riflettono anche un’intricata selva di fattori esogeni che, dietro le quinte, tessono fitte reti di connessioni, di cui spesso non cogliamo a fondo le trame, ma che tuttavia ne in-formano l’azione. L’attenzione su quanto elementi organizzativi e condizioni lavorative possano incidere sulla qualità di un servizio educativo, ma anche su quanto questo legame dipenda da uno sbilanciamento dei rapporti  tra i responsabili delle politiche socio-educative, i rappresentanti  delle organizzazioni del Terzo Settore e degli educatori domiciliari costituisce il leitmotiv di questa monografia.

L’affidarsi ad un sistema di welfare basato sulla proliferazione di appalti a basso costo, inserendo meccanismi tipici del libero mercato, senza però adeguata attenzione alla progettazione educativa, agli strumenti utilizzati, così come alle condizioni organizzative, retributive e contrattuali dei lavoratori e delle lavoratrici, significa non tenere conto della salute delle professionalità coinvolte e di conseguenza anche delle loro prestazioni.

Il libro l’Educatore Domiciliare. Una Triplice Professione (Edizioni Underground?, 2019), ripercorre la memoria storica, culturale e giuridica di questa professione nell’arco degli ultimi decenni, integrandola con alcune  esperienze territoriali significative per il ruolo svolto in questo processo di costruzione identitaria ancora imperfetto e  incompiuto. La singolarità delle esperienze spesso mimetizzate nel fitto sottobosco dei servizi socio-educativi locali e delle loro problematiche, ci ha quindi indotto ad ampliare lo sguardo verso ciò che si trova oltre le loro linee di demarcazione, altrimenti mutilate e irriducibili a un comune senso di appartenenza.

*Educatore domiciliare

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