Le partnership interne al terzo settore nelle coprogettazioni: fra matrimoni d’amore e di interesse

9788874667529di Ugo De Ambrogio*

Come è noto, l’idea della coprogettazione prende piede in tempi recenti perché sia gli enti locali sia i soggetti del privato sociale si trovano oggi ad agire in una cornice che supera il tradizionale rapporto committente fornitore che aveva caratterizzato la loro relazione fino a qualche tempo fa. Dunque la coprogettazione rappresenta nella sua ispirazione teorica, una forma di collaborazione tra P.A. e soggetti del terzo settore per la realizzazione di attività e interventi in base al principio di sussidiarietà e fonda la sua funzione sui principi di trasparenza, partecipazione e sostegno dell’impegno privato nella funzione sociale.

Nelle esperienze che abbiamo fino ad oggi incontrato nel nostro lavoro di consulenti e facilitatori di processi progettuali vi è però un passaggio metodologico cruciale che spesso è trascurato e trattato frettolosamente e invece se non accuratamente considerato rischia di minacciare le possibilità di successo delle coprogettazioni. Infatti, prima di prevedere l’instaurarsi di un partenariato fra pubblico e terzo settore, la diffusione dello strumento della coprogettazione stimola fortemente il terzo settore a mettersi assieme, per cercare forme di competenza complementari e di rappresentanza territoriale che siano frutto di aggregazioni funzionali ad essere ammessi alla coprogettazione.

Il terzo settore pertanto viene posto davanti a una sfida, cioè quella di partecipare alla relazione di partenariato con l’ente pubblico, per lo più non con singole organizzazioni ma costituendo una aggregazione, che di fatto diviene una sorta di “pre-partenariato” tra diverse organizzazioni. Questo comporta, inevitabilmente, la necessità di ripensare le relazioni tra organizzazioni diverse, con identità e culture differenti e che si trovano spesso su altri fronti ad essere competitors per l’aggiudicazione di appalti e affidamenti di servizi sul medesimo o su altri territori.

L’ente pubblico, o la committenza di un bando che usa lo strumento della coprogettazione, chiede invece assai spesso al terzo settore di essere un interlocutore unico, capace di mettere a sistema tutte le competenze presenti e di organizzare compiti e responsabilità di intervento in forma omogenea e unitaria. A volte questo problema viene (in parte) superato dalla partecipazione di consorzi territoriali di cooperative preesistenti e che hanno già un certo grado di omogeneità interna; nella maggioranza dei casi invece la questione è affrontata costituendo ATI (Associazioni Temporanee di Impresa) che si propongono come nuovi soggetti organizzativi fondati ad hoc per l’occasione e spesso destinati a terminare la propria vita con la conclusione della coprogettazione. In questi processi di aggregazione fra organizzazioni del terzo settore si incontrano spesso ostacoli e difficoltà e altrettanto spesso si forzano verso mediazioni e compromessi funzionali a vincere la gara di selezione per coprogettare ma poi inadeguati per coprogettare davvero.

Detto in altri termini, ciò che frequentemente accade è che ci si mette assieme non tanto “per amore”, ma “per interesse”, ovvero selezionandosi e scegliendosi al fine di essere cordate autorevoli e con possibilità di vittoria dei bandi di coprogettazione, sottovalutando l’effettiva capacità di aggregazione e di lavoro in collaborazione integrata nel caso in cui bandi e selezioni vadano a buon fine. Le aggregazioni che si creano a questi scopi non sono pertanto vere e proprie organizzazioni, nel senso in cui abitualmente intendiamo questo termine. Non sono gruppi di lavoro integrato, ma in molti casi solo organizzazioni “sulla carta”. Provocatoriamente potremmo dire che più che associazioni temporanee di impresa sono solo “aggregazioni temporanee per tentare di partecipare ad una impresa” il cui grado di realizzabilità sarà poi tutto da verificare anche in relazione alle capacità di coesione che le aggregazioni temporanee così costituite sapranno mettere in campo.

Questi processi di aggregazione “per interesse” avvengono oggi sempre più frequentemente e la loro diffusione è, a mio parere, pericolosa, perché non dà garanzie di efficacia quando si passa dalla fase di costruzione di un progetto alla sua realizzazione.

Un recente articolo di Rosa Krausz (una consulente organizzativa brasiliana) ci aiuta a capire che cosa sta avvenendo in queste aggregazioni [1]. La Krausz individua nelle società contemporanee diversi tipi di gruppi e organizzazioni definiti come: “insiemi di individui interagenti che hanno uno scopo comune che facilita, crea, o induce un senso di unità e di identificazione». La Krausz distingue poi gruppi e organizzazioni in tre tipi: primari, secondari e terziari.

I gruppi primari sono gruppi che tendono a sviluppare forte coesione, stabilità ed affidabilità nelle relazioni; sul fronte delle organizzazioni appartengono ai gruppi primari molte associazioni di volontariato ma anche cooperative o piccole o medie imprese fortemente coese. Vi sono poi i gruppi secondari caratterizzati da maggiore temporalità; un esempio sono i gruppi di professionisti, le imprese medio grandi, le pubbliche amministrazioni, le scuole, le cooperative di grandi dimensioni, ecc.  In tali gruppi, gli individui tendono ad interagire in modo più formale, meno personale, e più in relazione ai ruoli prescritti e alle funzioni.

Infine la Krausz chiama gruppi terziari i gruppi caratterizzati da frammentazione e transitorietà, facendo l’esempio delle aggregazioni temporanee e anche dei gruppi virtuali che si costituiscono sui social network: “questi gruppi sono spesso difficili da identificare o classificare. Essi sono di durata limitata, con i confini aperti, le interazioni sono casuali, distanti e inaspettate, e la comunicazione è irregolare. Ci sono pochi interessi comuni. Gli incontri avvengono per caso e la partecipazione è frammentata” (Krausz 2013). La Krausz afferma che Il gruppo terziario è una categoria contemporanea risultante dalle intense trasformazioni sociali e tecnologiche degli ultimi decenni. Le caratteristiche principali e le qualità particolari di questo tipo di gruppo sono l’assenza di struttura, di stabilità, di finalità, di obiettivi, di funzioni, di legami, di attaccamento, e di coinvolgimento emotivo. I gruppi terziari non hanno una chiara identità e i loro membri non sviluppano senso di appartenenza al gruppo.

Ebbene, le “aggregazioni temporanee per tentare di partecipare ad una impresa” che si vanno costituendo nel terzo settore per concorrere a bandi e a selezioni di coprogettazione rischiano di essere, nel linguaggio di Rosa Krausz, “gruppi terziari”, ovvero gruppi senza una chiara identità, che corrono il rischio di essere il “prodotto di modelli relazionali discontinui e di lasciare che le cose accadano senza coinvolgimento; gruppi che possono stimolare contatti infruttuosi, e confusi”.

E’ un rischio rilevante e fino ad oggi sottovalutato. Se infatti le aggregazioni del terzo settore non pensano a costruire una loro identità è possibile che i progetti costruiti, anche se apparentemente accattivanti, non siano di fatto realizzabili ed inoltre appare poi improbabile che riescano efficacemente a realizzare il passo successivo della coprogettazione, ovvero la costituzione del partenariato con l’ente pubblico per co-gestire i progetti, perché ci si propone paradossalmente come partner senza avere una identità. Chi si trova pertanto a svolgere una funzione di regia nella costruzione di queste aggregazioni temporanee ha una forte responsabilità, si deve infatti porre in un’ottica di attenta guida dei processi di formazione dei gruppi, valorizzando tale aspetto ed evitando di svalutarlo, o di rinviarlo a fasi successive.

In passato abbiamo avuto già occasione di affermare che la partecipazione applicata alla progettazione, se non correttamente chiarita e progressivamente contrattata dal conduttore-regista, può rappresentare anche un boomerang per le partnership e alla lunga provocare più danni che vantaggi[2]. Tale affermazione la possiamo fortemente ribadire anche oggi in un “mercato” del sociale dove le spinte a collaborare fra organizzazioni diverse sono, anche grazie alle coprogettazioni, sempre più frequenti e veloci.

Per questo è essenziale che non si dimentichino, nei processi partecipativi di costruzioni di partnership, anche temporanee, alcuni passaggi metodologici essenziali:

  1. E’ opportuno che il capofila delle aggregazioni progettuali sia chiaramente individuato e investito di una precisa funzione di regia del processo
  2. E’ opportuno che sia formato fin dalle fasi iniziali un gruppo di progettazione e che sia chiaro da chi è formato tale gruppo
  3. Nella costruzione di tale gruppo è essenziale che si tenga conto della rappresentanza delle organizzazioni “primarie” che fanno parte del partenariato, ma anche delle persone che si impegnano nella specifica esperienza progettuale. Non è infatti opportuno che le persone che partecipano siano intercambiabili nel corso della progettazione, poiché saranno i referenti stabili dell’ATI e in qualche modo dovranno sviluppare senso di appartenenza nei confronti del progetto e dell’ATI
  4. In tale gruppo sarà importante chiarire e “contrattare” con ciascuno dei partecipanti l’impegno richiesto in termini di ruolo e di conseguente responsabilità, di tempo da dedicare alle riunioni, di investimento ulteriore alle riunioni
  5. E’ opportuno inoltre fare in modo che all’inizio del processo gli attori (membri del gruppo di progettazione) si vedano in faccia e non si limitino a contatti virtuali. E’ importante infatti che si costruiscano da subito relazioni professionali chiare, solide e non effimere
  6. E’ opportuno quindi prendersi del tempo per conoscersi, scambiarsi idee, approcci e metodologie anche per comprendere il valore dell’altro come futuro collaboratore e non come semplice risorsa da sommare per poter più facilmente aggiudicarsi un bando.

Se tali passaggi metodologici saranno realizzati con attenzione e cura le aggregazioni che nascono per coprogettare potranno sviluppare a pieno le loro potenzialità, divenendo gruppi che trovano una loro specifica coesione ed identità funzionale a lavorare in modo integrato, efficace e produttivo. In questo scenario i matrimoni per interesse potranno trasformarsi, se non sempre in matrimoni d’amore, almeno in buone, pacifiche e produttive “convivenze”.

 * Direttore Area Irs; Vicedirettore Prospettive Sociali e Sanitarie

Questo post è tratto dall’articolo dello stesso autore in corso di pubblicazione, in forma  approfondita ed estesa, sul numero 3.1-3.2, luglio-agosto 2016 di PSS.

Ricordiamo che il 14 settembre dalle 9.30 alle 13.30 presso l’Auditorim La Cordata a Milano si terrà il Seminario di presentazione del libro La coprogettazione, La partnership fra pubblico e terzo settore di Ugo De Ambrogio e Cecilia Guidetti, edito da Carocci Faber. Gli autori e diversi testimoni di territori in cui il sistema è stato utilizzato approfondiranno le condizioni di funzionamento di un nuovo strumento per la gestione dei servizi. Il seminario fornirà 4 crediti formativi per assistenti sociali. La partecipazione è gratuita previa iscrizione online. Non saranno ammesse persone non iscritte online. Informazioni – Scarica il programma completo

[1] Cfr.  Rosa  Krausz, Living in Groups, TAJ 2013 n. 43

[2] Cfr. U. De Ambrogio, come fare un buon progetto partecipato, in Progettare la frammentazione, I Quid di Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 6,  2010.

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