Incendi, femminicidi e… pubblico impiego

di Patrizia Marzo*

Quella del 2017 è senz’altro un’estate nera, come negli ultimi anni ne stanno capitando spesso, purtroppo.

È nera come il colore della cenere lasciata dalle decine di incendi dolosi che stanno deturpando il nostro patrimonio ambientale, una delle rare fonti di ricchezza economica, di salute e di bellezza di questo Paese. Nera come la cronaca quasi quotidiana dei femminicidi che stroncano, in media ogni due giorni, la vita di una persona indifesa, di una risorsa umana unica e irripetibile, non solo per la singola famiglia, ma per l’intera umanità.

Ma è nera anche per diverse altre ragioni: nera come il futuro di molti nostri giovani che accrescono i numeri della disoccupazione (in Italia c’è un neet ogni 5 e un disoccupato ogni 3 giovani), nera come i volti delle migliaia di immigrati che in queste ore sbarcano sulle nostre coste alla ricerca di un’occasione di vita e di coloro che non ce la fanno e annegano nei nostri mari…

Chi ha consapevolezza, coscienza morale e sensibilità culturale, quotidianamente soffre per questi drammi. Fra costoro c’è anche la grande maggioranza dei professionisti assistenti sociali.
Nella instancabile ricerca di probabili – o anche solo auspicabili – vie d’uscita, un possibile esercizio è quello di individuare un ipotetico filo conduttore che accomuna questi drammi, anche se davvero immensi e apparentemente tanto distanti fra loro. Quale potrebbe essere una risposta alle cause e al contrasto di questi drammi? Ma, ancora prima, a chi compete abbozzare, disegnare, definire, proporre e offrire risposte?
Ovviamente, ciascuno, nel proprio piccolo e privato, può fare tanto.

Ma non c’è nessuno dei temi qui accennati che non afferisca alle dirette competenze dello Stato e, quindi, della Politica. E, ancora più in particolare, non c’è risposta a questi temi che non sia di diretta competenza della Pubblica Amministrazione nel suo complesso: dal controllo del territorio all’intervento di protezione civile, dalla sicurezza dei cittadini alla repressione dei reati, dal soccorso in mare all’organizzazione dell’accoglienza dei migranti, nulla di tutto questo è avulso dall’intervento politico e amministrativo pubblico.

Non solo. Anche gran parte di quanto avviene prima, nella fase precedente l’escalation di questi problemi, attiene alla sfera pubblica, ossia al rispetto dei diritti collettivi/comunitari: la prevenzione e l’educazione ambientale, affettiva e sessuale, civica, antidiscriminatoria e antirazzista, il sostegno psico-sociale ai cittadini più fragili e vulnerabili sono finalità precipue dei sistemi sociali ed educativi pubblici.
Questo è un fatto. È oggettivo. Credo che la Pubblica Amministrazione rappresenti il primo “filo conduttore” che accomuna le risposte a questi problemi.

Tuttavia, sappiamo fin troppo bene che questo “filo conduttore” appare oggi violentemente interrotto, spezzato dalle numerose disfunzioni che lo affliggono: le carenze degli organici e l’atavico blocco del turn-over delle assunzioni (con conseguente invecchiamento del personale in servizio), l’eccessiva “esternalizzazione” di competenze, mansioni e funzioni una volta tipiche del pubblico ed oggi sempre più soggette alla precarizzazione degli incarichi, la diffusa inadeguatezza delle strumentazioni tecnologiche, l’annoso ritardo nel rinnovo dei contratti di lavoro, la generale mancanza di meritocrazia e dei controlli sull’efficacia/efficienza, la ancora troppo radicata cultura clientelare e diseducata al senso del dovere, il degrado e l’incuria che assalgono fisicamente le infrastrutture del pubblico, minando non solo l’immagine delle istituzioni, ma soprattutto la sicurezza degli operatori e dei cittadini utenti … tutto ciò rappresenta ancora oggi limiti quasi insuperabili verso la realizzazione di sistemi ed organizzazioni pubbliche degne di un Paese avanzato come il nostro.
Nelle ultime riforme della P.A. si richiede al settore pubblico sempre maggiore efficacia, efficienza, trasparenza, controllo sulla qualità e sulla quantità dei carichi di lavoro di ciascun operatore. Riforme che si presentano come risposte ad alto contenuto demagogico rispetto al sentire comune dell’opinione pubblica, che percepisce “gli statali” come “fannulloni” e “furbetti del cartellino”.

Il risultato più grave prodotto da tutti questi problemi è il progressivo arretramento della percezione culturale che i cittadini-utenti sviluppano rispetto ai dipendenti pubblici: una involuzione basata sulla crescente sfiducia, disistima, su forme di vero e proprio disprezzo che diventano l’humus ideale per l’enorme carico di violenza che la società sta sempre più indirizzando ai diversi rappresentanti del pubblico impiego. Si pensi, ad esempio, alle aggressioni – fisiche, psicologiche, sociali – quotidianamente subite e denunciate da medici e paramedici, insegnanti, assistenti sociali, ecc.

Si assiste ad una involuzione culturale decisamente veloce, per il cui recupero, però, ci sarà bisogno di molto, molto tempo. Un gran peccato, se si pensa agli enormi sforzi politici che hanno promosso le grandi riforme della P.A. degli anni ’90 (Leggi Bassanini, Leggi Bersani, norme sulla trasparenza amministrativa, sul benessere organizzativo, sulla conciliazione dei tempi vita-lavoro, ecc.) e che oggi rischiano di essere vanificati da una quasi totale mancanza di attenzione verso il settore pubblico.
Questa involuzione culturale è favorita da una vulgata di denigrazione che la Politica manifesta sia nella comunicazione istituzionale sia nei contenuti, ossia nelle misure, anzi, nelle non-misure che essa si ostina a non adottare per salvare la P.A.

Non è di moda per la massima parte dei politici attuali ricordare ai cittadini che il pubblico impiego, insieme ai pensionati, sono le uniche due categorie di cittadini che finanziano le magre casse dello Stato, con una tassazione straordinariamente precisa e puntuale. Oppure evidenziare i meriti della gran parte dei lavoratori pubblici che, nel marasma dei problemi prima sommariamente accennati, riescono comunque a sostenere il peso di un’utenza sempre più esigente poiché consapevole dei propri diritti, ma anche sempre più schiacciata dalle sofferenze economiche e sociali degli ultimi anni. O, ancora – ci raccontano – non è consentito dall’Unione Europea, bandire finalmente qualche decina di maxi-concorsi pubblici che, oltre ad attutire il dolore della nostra elevatissima disoccupazione giovanile e ad arrestare l’emorragia dell’emigrazione, contribuirebbe a recuperare immense risorse e beni comuni del patrimonio ambientale, sociale, economico, scientifico e dell’innovazione.

È, invece, di gran moda e successo, continuare nel percorso della stigmatizzazione, dell’ingiuria e dell’umiliazione del fantozzi di turno, provando a scardinare, aggredire, distruggere ogni possibile pezzo di diritto e di sicurezza che ancora resta in capo ai pubblici dipendenti. Ossia, persone con un’età media molto alta, stanche, con disturbi di salute, demotivate, mortificate. Si pensi all’esercito degli attuali over 50, con una media di trent’anni di lavoro alle spalle: troppi per conservare intonso l’entusiasmo per il proprio lavoro, ma decisamente pochissimi per intravedere la pensione. Su questi ex baby boomers, oggetto quotidiano di scherno e di invidia fra poveri, poiché appartenenti a quell’ultima generazione di connazionali che hanno avuto la fortuna del “posto fisso” e di non essere costretti ad emigrare, si deve reggere – per la vulgata demagogica della nostra Politica – tutta l’intraprendenza, l’innovazione, la trasparenza, l’efficienza di cui i politici hanno bisogno per poter restare in carica, quelli si, spesso per decine di anni e assolutamente senza “esternalizzazioni”.

Eppure è la Pubblica Amministrazione che in ogni Paese fa la differenza fra la barbarie e la convivenza civile. Questo, i dipendenti pubblici lo sanno bene. Sanno bene di rappresentare il discrimine fra il far west e la civiltà. Ed è bene che ne prendano coscienza quanto prima anche i nostri decisori pubblici, non solo per il bene della P.A., ma per l’intero destino del Paese, e, quindi, anche del proprio!
La Politica ha il dovere di ricominciare ad investire nella ristrutturazione delle infrastrutture pubbliche ormai perlopiù “sgarrupate”, nel reclutamento dei giovani negli organici del personale, anche attraverso sperimentazioni come il job sharing su base volontaria (che troverebbe non pochi aspiranti fra gli ultracinquantenni), nell’innovazione tecnologica, nella supervisione dello stato di benessere psico-fisico dei pubblici dipendenti, nel rispetto dei contratti di lavoro, che rappresenta un segnale sociale di buona considerazione dello Stato verso i propri servitori.

La Politica, in pratica, deve ricominciare ad occuparsi di se stessa.

Quella del 2017 è senz’altro un’estate nera, come negli ultimi anni ne stanno capitando spesso, purtroppo. Ma è assolutamente importante non assuefarsi al destino nero che sembra irreversibile, immutabile. È necessario oggi più che mai rispondere agli imperativi morali di alcuni profeti come Antonio Gramsci, con il suo “odio gli indifferenti” o come l’attivista Vittorio Arrigoni con il suo “restiamo umani, nella famiglia umana”.
Per il bene di tutti, dei nostri boschi e dei nostri animali, dei servizi socio-sanitari, di prevenzione, educazione, controllo e sicurezza, per il bene delle donne e dei bambini di questo Paese, che, come in ogni altro posto del mondo, rappresentano il futuro.

*Assistente sociale dal 1991 presso il Nucleo Operativo Tossicodipendenze della Prefettura di Bari

 

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