Cibo e sfruttamento nel Mediterraneo. Un’analisi delle condizioni di lavoro delle raccoglitrici di frutta e verdura

di Eleonora Maglia*

Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo di Stefania Prandi per Settenove edizioni (2018, pp.107) ripercorre le condizioni di vita e di lavoro delle donne impiegate nel settore agricolo in Italia, Spagna e Marocco, paesi affacciati sul Mar Mediterraneo ed esportatori di prodotti orto-frutticoli a livello mondiale.

In due anni di inchieste ed interviste sul campo, l’autrice disvela situazioni penalizzanti dal punto di vista economico e umano e spinge tutti i consumatori a rivedere le scelte di consumo per promuovere condizioni lavorative più etiche.

Le dimensioni del fenomeno

Il termine “oro rosso” identifica simbolicamente il livello elevato di redditività per i paesi mediterranei della produzione di fragole, lamponi, ribes, uva e pomodori; beni che vengono tutti coltivati in modo molto localizzato: 68% del totale italiano in Puglia, trecentomila tonnellate solo a Palos de la Frontera (Spagna) e per il 90% del totale nazionale a Souss massa (Marocco).

I dati presentati da Stefania Prandi mostrano come in questo settore venga preferita la forza lavoro femminile (“lavorano cinquemila donne rumene” (p.51)), perché retribuita in modo inferiore (“tra i cinque e i dieci euro al giorno in meno degli uomini” (p.51)), ma attestano anche che le condizioni di vita e di lavoro sono deplorevoli negli orari prolungati, negli alloggi insalubri e nella sicurezza mancata (l’esposizione a diserbanti e fitofarmaci senza le idonee protezioni ha gravi ripercussioni respiratorie e cutanee) e pure caratterizzati da frequenti abusi e violenze sessuali (confermate dall’alto numero di aborti –nel 2016 centottantacinque a Palos de la Frontera e centoundici a Vittoria in Sicilia– con picchi registrati nei periodi di raccolta soprattutto tra le immigrate).

Il volume offre anche la possibilità di conoscere le norme stabilite dai diversi Paesi per regolare il lavoro immigrato, come, ad esempio, il “Contratto di origine (Contrataciòn en origen), un programma per importare la manovalanza stagionale dal Marocco alla Spagna. [In virtù del quale], per il lavoro nei campi vengono reclutate donne sposate e con figli che restano il tempo della raccolta. Il fatto che le braccianti abbiano una famiglia garantisce che non cerchino di restare a vivere in Spagna, illegalmente, una volta finita la stagione e scaduto il permesso di soggiorno. Il Contratto in origine è un sistema di controllo della forza lavoro cominciato quasi vent’anni fa. Inizialmente era rivolto alle polacche e alle rumene, quando non facevano parte della Comunità europea. In seguito è stato esteso alle marocchine” (p.16-17).

I limiti dei sistemi giuridici e culturali

Le difficoltà nelle reazioni e nelle denunce, come risulta dal reportage, sono ascrivibili a logiche ricattatorie maschili che, con scambi sessuo-economici, fanno leva sullo stato di necessità monetaria, sul desiderio di riscatto sociale per la progenie e sull’ignoranza dei diritti e delle leggi in materia di diritto del lavoro e di protezione sociale in cui versano le donne impiegate nella raccolta di frutta e ortaggi, nonché sulla paura di stigma sociale di una cultura generalmente colpevolizzante le vittime di molestie (victmin blaming) e sui livelli di offerta di manodopera, di precariato e di immigrazione aumentati per effetto della crisi economica.

L’autrice riporta nel testo i complicati percorsi intrapresi dalle denuncianti in sistemi giuridici privi di iter ad hoc e la reticenza e l’omertà di alcuni funzionari istituzionali che ha contattato a scopo di ricerca, ma anche casi virtuosi di fattivo intervento migliorativo dello status quo (come i seminari per formare sindacalisti capaci di negoziare con le aziende agricole promossi dall’Union marocaine du travail).

Alcune considerazioni sul tema e sul volume

Nonostante l’evoluzione normativa a livello europeo ed internazionale abbia promosso tutele, parità e pari opportunità a favore del genere femminile, i recenti casi di cronaca attestano la necessità di continua attenzione, vigilanza ed intervento sul tema affinché i diritti e la dignità delle lavoratrici nei diversi settori economici siano effettivi. Stefania Prando, trattando con delicatezza e dedizione il tema della violenza sul posto di lavoro, riesce con il suo reportage Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo, anche a mostrarci il lato nascosto del consumo, a renderci consapevoli di aspetti scomodi e a ricordarci il potere che è legato ad ogni singolo atto di acquisto, con il quale ciascuno può esprimere il proprio dissenso a pratiche scorrette, irrispettose e dimentiche dei principi di equità e sostenibilità e può concorrere a realizzare, così, un cambiamento materiale e culturale nei sistemi di produzione. “Secondo le braccianti [..] chi mangia le fragole in Italia, Germania, Francia, Inghilterra, Svizzera e in altri paesi dovrebbe pensare a come vivono le donne che le raccolgono. Se solo i consumatori riflettessero per un momento, mentre comprano i piccoli cestelli o le cassette di legno a basso costo al supermercato o al mercato, forse la loro vita potrebbe migliorare” (p.41).

I consumatori detengono, in effetti, un potere politico e la possibilità di orientare il funzionamento del mercato: ad esempio, possono incidere positivamente sulla vita dei lavoratori optando per modelli di consumo equo e solidale (fair trade), che garantiscono remunerazioni giuste e rispettose, nonché adeguata tutela dei territori produttivi. In queste forme alternative di produzione ciò avviene, operativamente, attraverso la creazione e la promozione di cooperative (che realizzano una massa critica sufficiente ad esercitare un certo potere contrattuale rispetto alla grande distribuzione organizzata) e l’utilizzo di filiere corte (ossia cicli produttivo-commerciali brevi di soli tre o quattro passaggi tra il produttore e il consumatore finale), grazie alle quali la remunerazione maggiore rimane assicurata ai produttori e non si disperde lungo la catena distributiva.

 

*dottore di ricerca in Economia della produzione e dello sviluppo

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