Bisognerebbe avvisarli

Jole Bevilacqua,  Bisognerebbe avvisarli, Morellini Editore, Milano, 2022

Una recensione di Cristina Sironi*

Di storie che riguardano rapporti tra madri e figlie ne ho lette non poche. In particolare, anche per questioni professionali, mi interessano quelle dove la progressiva perdita di memoria e di identità delle prime scombina le vite delle seconde, esigendo da esse uno sguardo introspettivo e indagatore per fronteggiare la nuova realtà. Sono infatti convinta che le storie abbiano il merito di saper raccontare la vita e le vicende umane molto meglio dei trattati, perciò non abbandono la mia ricerca e vi propongo questa, di Jole Bevilacqua, un’insegnante di pedagogia speciale con una bella sensibilità.

È una storia delicata, dai colori tenui, anche se non mancano tinte forti e accentuate, un racconto pieno di grazia e di levità. Si legge lentamente, per assaporarne il gusto morbido e non perderne le sfumature, ma anche tutto d’un fiato perché non è la trama a sostenere il lettore, ma un’atmosfera avvolgente, che richiede continuità.

Racconta di una madre, che scivola a poco a poco nella dimenticanza e fatica a capire cosa la circonda, così parla il “minimo possibile” ma sorride, e di una figlia che, altrettanto disorientata da questo evento, ripercorre la propria storia e quella della madre, cercando tracce, indizi, fili che le consentano di ritrovare un contatto, una comunicazione con quella donna “piena di grigio” che fatica a riconoscere e non la riconosce. Entrambe hanno avuto una vita non facile, portandosi dentro dolori inconfessati, ma sono accomunate oltre che da un profondo affetto, da una creatività che trasforma emozioni in disegni e sentimenti in colori. Ciò consentirà loro di ritrovare alla fine un’armonia, “quel filo di gioia che [le] guiderà attraverso l’oscuro paese delle ombre”, in cui devono passare.

Capitolo dopo capitolo, le due donne si alternano, come in una conversazione silente, a svelare ricordi della propria vita. Episodi alle volte identici, vengono narrati da un punto di vista molto personale e quindi risultano diversi: anche i colori, che presiedono come titoli ai capitoli, si declinano in sfumature differenti a seconda del vissuto di ciascuna. Ne è un esempio quello in cui si narra l’episodio dell’uccellino, caduto dal nido e raccolto dalla bambina per accudirlo e sfamarlo. Avrà vita breve e verrà seppellito da entrambe sotto un pino, dopo avergli preparato una coroncina di margherite intrecciate. Nel ricordo della figlia il capitolo diventa “Un leggero color tortora”, in quello della madre “Marrone scuro e pratoline”, dove queste variazioni di colore diventano il valore che ciascuna attribuisce a quell’evento. Per la figlia è “una lezione importante: quanto affrontare il dispiacere con un gesto affettuoso e fiorito è il succo del mantenere il cuore saldo davanti alle prove che la vita ci propone”. La madre invece considera che per la bimba “sarebbe stato un primo confronto con la durezza, un lato marrone scuro della vita da cui si vorrebbe proteggere i bambini”.

Ma esiste anche altro, quasi un terzo personaggio: “quell’animaletto spensierato che abita dentro ognuno di noi e che ci porta avanti”, una presenza vivace, gioiosa, birichina. Si tratta di una sorta di amico immaginario, di scarabocchio consolatorio e confortante, presente nell’immaginazione della madre, che turba la razionalità della figlia: lei non ne vuole neanche sentire parlare, tanto la innervosisce e inquieta, come se le rammentasse l’inaccettabile disorientamento della madre. Solo quando, alla fine della sua “esplorazione del sottosuolo in cerca di fondamenta”, la figlia libera il suo dolore e piange tutte le lacrime che si è sempre negata, riesce a seguire nel disegno della madre “l’animaletto che guizza dentro di noi” e finalmente accetta la realtà: “lei non è più una mamma, io non sono più la figlia. Siamo due donne che avanzano cautamente in una landa sconosciuta, entrambe con molta trepidazione, seguendo impalpabili segnali.”

La scrittura è lineare, chiara, pacata, senza scosse. Si procede con piacere, capitolo dopo capitolo, colore dopo colore. Il primo e l’ultimo capitolo sono anomali, si sottraggono all’alternanza del racconto delle due donne ma ci danno come le coordinate della lettura: il silenzio attento come quello della casa azzurra che aveva accolto le vite delle protagoniste e la gioiosa luminosità della vita rappresentata dall’animaletto.

Questo romanzo breve o racconto lungo che sia, ci accompagna in una sorta di viaggio interiore alla ricerca di un senso della vita e delle relazioni, di come sia difficile averne cura, soprattutto quando, cambiamenti imprevisti e indesiderati, sparigliano le carte della vita e ci costringono a cercare nuove strade e strategie per mantenere la comunicazione con le persone a noi care.

Nel mio lavoro di educatrice all’interno di una RSA incontro tante situazioni dove i famigliari non accettano le perdite dei genitori e faticano, alle volte proprio non riescono, a modificare il loro sguardo per trovare nuove sintonie, che sono sempre possibili, aggiungendo così sofferenze a disagi, dolore a disorientamento. Forse ascoltare questa storia, immedesimarsi nei suoi personaggi, potrebbe indicare loro una strada, aprire uno spiraglio e trovare un po’ di luce.

 

*educatrice professionale e formatrice

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