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Cercasi babysitter… per mamma e papà

di Zita Salmastri*

Non avendo figli, posso solo immaginare quanto sia delicato il momento in cui i genitori sono costretti, per motivi di lavoro o di altra natura, ad affidarli a una babysitter.

Di sicuro si procederà a una selezione il più rigorosa possibile, allo scopo di individuare la persona migliore per il proprio bambino. È probabile che si commettano degli errori, o che per qualche ragione non ci si senta soddisfatti della scelta effettuata. Oppure potrebbe semplicemente capitare che, a un certo punto, la preziosa giovane donna alla quale si è delegato il compito di cambiare i pannolini, preparare la pappa e inventare storie e giochi sempre nuovi per intrattenere l’adorato pupo nelle lunghe ore di lontananza forzata, molli quest’ultimo al suo destino magari perché ha deciso di fare il giro del mondo.

Eventi del genere, ne sono sicura, scatenano il panico in famiglia: è complicato e faticoso per motivi pratici e psicologici mettersi in cerca di una persona nuova, anche questa, come la precedente, da scegliere con il massimo scrupolo prima di essere certi ancora una volta di poterle affidare il proprio pargolo.

Eppure, vi garantisco, c’è di peggio. A farmi trarre una simile conclusione, è stato l’istruttivo approfondimento che il numero 3 – Estate 2021 di Prospettive Sociali e Sanitarie, ha dedicato al pianeta “badanti”, le babysitter dei nostri anziani, le mamme e i papà di molte e molti cinquantenni alla ricerca costante della formula magica che permetta loro di tenere insieme figli, lavoro, mantenimento di una decente forma fisica e altre aspirazioni più e meno appropriate all’età anagrafica raggiunta. Continua a leggere

Lavoro educativo e qualità, anche nei tempi del Covid-19

di Giovanni Garena*

Nella variegata gamma di interventi e servizi sociali messi in campo nelle diverse realtà del nostro Paese si è consolidata, a partire da prime sperimentazioni fin dagli anni ‘80 del secolo scorso, l’azione denominata educativa territoriale (E.T.). I servizi di E.T. si esprimono oggi come parte connettiva di prossimità, di lavoro con-per le reti di comunità, nell’accompagnamento e sostegno a minori, disabili, nuclei familiari in difficoltà. I luoghi di questa azione appartengono all’informale, alle dimensioni di vita nelle quali educatrici ed educatori entrano – in punta di piedi – proponendosi come mediatori e facilitatori di percorsi di aggregazione, di integrazione. Percorsi in cui si cammina in territori fisici e mentali nei quali l’atto educativo assume una geomorfologia sempre nuova e affronta sfide a volte anche molto complesse e impreviste. Continua a leggere

Parziale fenomenologia dell’educatrice (femmina)

di Irene Gallina*

 

Introduzione

Da decenni, in gran parte del mondo, viene ridiscusso il ruolo della donna nella società: prima con la sola rivendicazione di diritti come il suffragio universale, il divorzio, l’aborto, poi con l’elaborazione di teorie che fondino e accompagnino la lotta. L’evoluzione del discorso intorno al ruolo della donna ha visto il passaggio dal femminismo di separazione, che si allontana dal rapporto con il genere maschile, al femminismo intersezionale, che al contrario inserisce la lotta per i diritti delle donne all’interno del più ampio spettro dell’oppressione: le persone nere, quelle lgbtqia+, le donne, le persone con disabilità e con disagio psichico, le persone povere e quelle grasse subiscono tutte le stesse dinamiche di colpevolizzazione ed esclusione. Il femminismo intersezionale fornisce teorie e strumenti utili non solo alla lotta sociale, ma anche ad analizzare e interpretare la realtà con schemi differenti da quelli tradizionali, perché si concentra sulle dinamiche relazionali e sociali piuttosto che sulle caratteristiche degli oppressi o dei singoli gruppi sociali. Anche sul fronte clinico e su quello educativo l’intersezionalità potrebbe quindi costituire un approccio analitico e relazionale che purtroppo non è ancora stato esplorato a sufficienza. Sembra, anzi, che il contesto dei servizi alla persona sia isolato rispetto ai cambiamenti culturali che avvengono – seppur lentamente – nel resto della società. Basti pensare a quanto poco ci si formi e interroghi sulle modalità con cui le questioni di genere agiscono sulle relazioni educative, in un mondo che invece sta imparando a separare il ruolo genitoriale dal sesso biologico. O a come la maggior parte dei servizi educativi ignori la spinta pratica e teorica proveniente dall’attivismo delle persone con disabilità. Continua a leggere

Lettera aperta di un assistente sociale

di Michela Barbieri*

In questi giorni difficili, mentre la diffusione dell’epidemia ha portato a sempre più ristrette misure di protezione, c’è chi continua a lavorare per garantire i “servizi essenziali”. Si sentono giustamente ringraziare frequentemente i medici e gli infermieri che sono attivi in prima linea. Molto meno, e a mio modesto parere significativamente troppo poco, si parla degli operatori sociosanitari.

È evidente che è difficile ringraziare e valorizzare l’operato di tutte le figure attive nel garantire adeguata assistenza alle persone che ne hanno bisogno, dove certo non meno valore hanno ad esempio i tecnici di laboratorio, il personale ausiliario o i volontari che si attivano al fine di prendersi cura della propria società. Nonostante ciò, credo che l’importanza del ruolo e il numero di professionisti coinvolti sia valida ragione per imporci di inserire tra le figure da ringraziare quotidianamente quella degli operatori sociosanitari. Continua a leggere

L’Assistente sociale, un professionista versatile?

di Maria Rossella Colace*

Da diversi anni sono laureata e abilitata all’esercizio della professione di Assistente sociale. Si tratta di una professione molto complessa e strutturata, che prevede competenze a 360 gradi.

E’ il professionista dell’aiuto per eccellenza che agisce secondo i principi, le conoscenze ed i metodi specifici della professione. E’ colui che svolge la propria attività nell’ambito della comunità, a favore di individui, gruppi e famiglie, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno e che analizza e valuta domande e bisogni delle persone in un’ottica di contrattazione con l’utente, al fine di decidere un piano d’azione che consente di poter superare la sua condizione di attuale bisogno.

Il fine ultimo è promuovere l’autonomia degli utenti, valorizzandone la soggettività e l’assunzione di responsabilità, promuovendo contemporaneamente iniziative che consentano di ridurre i possibili rischi di emarginazione.

A causa di mancanza di lavoro da Assistente sociale, in questi ultimi due anni di attività lavorativa mi sono tuffata in una nuova esperienza: Assistente all’autonomia e alla comunicazione, nell’ambito della disabilità. Molti sono stati i bambini seguiti in questi periodi, svariate le patologie incontrate, diversi i metodi utilizzati per rendere l’utente il più possibile autonomo nell’ambiente scolastico e sociale. Continua a leggere