SSN e salutari prospettive

di Claudio Castegnaro*

Il nostro Sistema Sanitario Nazionale, originato dalla rifoombrellorma del 1978, continua a far segnare risultati di rilievo evidenziati da autorevoli ricerche dell’OMS e di altre Istituzioni globali. Pur non essendo un patito delle classifiche, leggo che l’Italia occupa il 2° posto alla voce “Health” e il 3° posto per “Life expectancy” (Global Competitiveness Index, World Economic Forum, Davos 2014). Sappiamo che la nostra spesa sanitaria pubblica ammonta a circa € 111 mld, il 7% del PIL, vale a dire € 1.867 annui per abitante e che tale spesa è di molto inferiore a quella di altri Paesi europei (nei Paesi Bassi € 4.375, dati PPA ISTAT anno 2012). Fino a qui tutto bene. Assistiamo tuttavia a crescenti diseguaglianze sul piano dell’accesso alle cure sanitarie, che contrastano con quanto sancito dalla Costituzione; dato particolarmente critico se pensiamo che vale soprattutto per chi vive in condizioni di deprivazione socio-economica (Indagine Multiscopo Istat, 2014). Nel quadro, oltre a elementi contraddittori, si addensano tinte fosche visto che sono annunciati € 4 mld di tagli alle Regioni disposti dalle Legge di stabilità 2015 e una quota maggioritaria potrebbe essere applicata proprio sulla sanità.

Il nostro SSN e i professionisti che ci lavorano sono da tempo sotto tensione e un fuoco incrociato. Rimarco l’importanza di alcune azioni volte a tentare di salvare il nostro sistema: ad esempio l’approvazione dell’emendamento presentato al Senato, con prime firmatarie la sen. De Biasi e la sen. Dirindin, in occasione dell’approvazione del DEF. L’emendamento colma l’assenza di qualunque riferimento alle politiche per la tutela della salute nella originaria versione della risoluzione, inserendo – nella parte sulla prossima revisione della spesa – l’impegno a carico del Governo ad assicurare “il mantenimento dei livelli e della qualità dell’assistenza sanitaria e sociale erogata ai cittadini, favorendone una maggiore omogeneità nel territorio nazionale” (1).
Nell’intento di ricostruire il nostro posizionamento rispetto ai sistemi sanitari degli altri Paesi europei ho attinto ai dati pubblicati dalla agenzia svedese Health Consumer Powerhouse , la quale mette a confronto le performance dei sistemi sanitari europei, partendo dal punto di vista del paziente, prospettive sinceramente innovativa. Anche in questo caso si propone una graduatoria che riserva delle sorprese.
Per la creazione di un indice europeo di salute dei sistemi sanitari la società svedese ha selezionato 48 indicatori suddivisi in sei aree: quella dei “Diritti e informazione dei pazienti” con 12 indicatori, quella dell’“Accessibilità – tempi di attesa per ricevere trattamenti” con 6 indicatori, l’area dei “Risultati di salute” e della “Gamma e accessibilità dei servizi offerti” ognuna con 8 indicatori, e infine quelle della “Prevenzione” e dei “Prodotti farmaceutici” che comprendono 7 indicatori ciascuna.
Analizzando i risultati complessivi, in cima alla classifica troviamo i Paesi Bassi, davanti alla Svizzera, mentre la medaglia di bronzo va alla Norvegia. In totale, i nove Stati che ottengono un ottimo punteggio sono tutti Paesi dell’Europa Occidentale: dal quarto al nono posto troviamo infatti Finlandia, Danimarca, Belgio, Islanda, Lussemburgo e Germania. Seguono poi, nel secondo blocco, Austria, Francia e Svezia. Solo nel terzo gruppo, nettamente distanziato dal secondo, cominciano a comparire i Paesi dell’Europa Centro-Orientale e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L’Italia è a metà classifica: occupa la diciannovesima posizione su 37 Paesi.
In ciascuna area valutata la prima posizione risulta la seguente:
•    Diritti e informazione dei pazienti: Paesi Bassi
•    Accessibilità: Belgio e Svizzera
•    Risultati di salute: Paesi Bassi e Norvegia
•    Gamma e accessibilità dei servizi offerti: Paesi Bassi e Svezia
•    Prevenzione: Islanda, Norvegia, Spagna e Svezia
•    Prodotti farmaceutici: Finlandia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi e Regno Unito

Un elemento che lo studio mette in evidenza è che i sistemi sanitari basati sulle assicurazioni sociali obbligatorie superano nel livello di performance quelli come l’Italia, il Regno Unito e la Spagna, basati sui servizi sanitari nazionali. Va aggiunto, non è un dettaglio, che i risultati sanitari ottenuti dai primi, nonostante una spesa sanitaria decisamente più elevata, non superano di molto quelli che vedono un sistema sanitario finanziato dal pubblico.
Sono dati che devono far riflettere sul futuro del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Dati che, usciti dalle stanze degli addetti ai lavoro, andrebbero approfonditi e discussi ricercando un’alta partecipazione della società civile visto che la sanità, come la scuola, sono servizi fondamentali e di garanzia dei diritti di cittadinanza. Dobbiamo evitare che sotto traccia si cerchi di mutare il DNA del nostro SSN. Per passare a cosa? A un sistema assicurativo (privato)? Ci sono evidenze tali che supportano una scelta così cruciale? Siamo tutti d’accordo?

Le graduatorie sono probabilmente utili come “rivelatori” di aree possibili di miglioramento e di elementi utili a prendere decisioni. Dalle evidenze disponibili, credo che il nostro sistema universalistico abbia dimostrato di saper produrre salute, ma che vi siano ampi margini di miglioramento. Il sistema va salvato ripartendo dalla centralità della relazione medico-paziente, come proposto da molte organizzazioni  e gruppi, ad esempio l’Associazione Slow Medicine e il Progetto PartecipaSalute (2), e discusso apertamente nella recente riunione annuale del Network Italiano Cochrane (3). Non credo, al contrario, che i tagli, magari lineari, e gli attacchi indiscriminati, promossi da attori con interessi commerciali, possano far del bene.

(1) cfr. l’articolo www.saluteinternazionale.info/2015/05/assalto-alluniversalismo-nel-def-2015/
(2) vedi l’iniziativa dal basso “5 passi per fare scelte buone scelte per la salute” lanciata nel 2015 dal Gruppo Italiano per una Sanità Partecipata
(3) Spendere meno o spendere meglio, Torino 22 maggio 2015

* Ricercatore Irs e vice presidente Fondazione Paracelso Onlus
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