Scripta manent, meglio non farlo

di Giulia Ghezzi *

ghezziPerché è così difficile mettere per iscritto le prestazioni sociali? Perché si fa così fatica a descrivere i contenuti del nostro welfare, le cose che il cittadino può legittimamente aspettarsi, i modi, i tempi, i criteri di accesso, le tariffe?
Dal macro al micro, questa difficoltà a mettere nero su bianco sembra contagiare tutti i livelli decisionali. A livello statale, restano ancora in larga parte inespressi e fumosi gli attesissimi Livelli Essenziali di Assistenza. Anche laddove nominati (art. 22 l. 328/00) sono così general generici da non configurare un diritto soggettivo, quindi qualcosa di esigibile dal cittadino.
Prendiamo il primo in elenco: “misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito”. Quali misure? Destinate a chi? Erogate come? le domande sono tante e nessuna normativa successiva è intervenuta a chiarirle. Forse per non avere nessun obbligo di stanziamento a bilancio, o per mettersi al riparo da eventuali azioni giudiziarie dei cittadini…
Quindi, siamo in assenza di una cornice nazionale che inquadri gli interventi regionali. E questo è un problema, visto che con la riforma al titolo V della Costituzione le Regioni hanno carta bianca in materia di politiche sociali…
E cosa fanno le Regioni? Per restare nell’ambito delle misure di contrasto alla povertà e limitatamente alla Regione Lombardia, non mi risulta ci sia una normativa che dettagli i diritti del cittadino bisognoso di assistenza economica o i servizi a sua disposizione.

Ci sono piccoli interventi, certamente normati e regolamentati, che vanno a coprire alcuni bisogni di alcune categorie di persone (gli inquilini, le neomamme, i coniugi separati…) se e solo se hanno tutta una serie di condizioni esclusive.
E il cinquantenne disoccupato con la moglie invalida? E la donna sola con due figli che vanno a scuola? E l’anziano non autosufficiente e con la minima che vuole andare in casa di riposo? Per tutto il resto c’è… no, non la nota carta di credito. Per tutti quelli che non rientrano nelle categorie aiutate dallo Stato e dalla Regione c’è solo il Comune.

Possiamo dirlo? Fatto salvo alcune iniziative nazionali e regionali, gli interventi di sostegno al reddito sono quasi esclusivamente lasciati alla fantasia e alle disponibilità economiche delle amministrazioni locali. Che, in mancanza di una normativa regionale che fissi quattro paletti, possono regolamentare e finanziare in modo molto diverso.
Ma non solo. Può essere anche che abbiano modi di comunicazione differenti: Regolamenti comunali più o meno chiari e aggiornati, Carte dei Servizi più o meno presenti, siti web e bacheche più o meno completi, ecc… E, lo ricordiamo, Regolamenti e Carte dei Servizi non sono un optional.

Perché mai se la signora Maria abita a Milano ha un certo tipo di informazioni e di trattamento e se abita a Varese un altro? Questa mancanza di un minimo comune denominatore stabilito su scala regionale o nazionale urta il mio senso di eguaglianza. Ma, mentre scruto con attenzione ciò che succede “ai piani alti” per cogliere segnali di cambiamento, voglio anche ragionare insieme alla mia comunità professionale che capire cosa di meglio possiamo fare noi.
Devo, infatti, ammettere che mi capita di cogliere una certa resistenza a mettere le cose per iscritto anche da parte degli assistenti sociali. Troppo spesso viviamo con fastidio la codifica della nostra prassi, ci appare riduttiva e banalizzante.

Ora, sappiamo bene di non poter racchiudere la realtà in una tabella a doppia entrata e che la nostra professione ha un’incomprimibile dimensione di autonomia che attiene proprio alla variabilità umana. Ma mi pare che a volte non ci accorgiamo che l’ambiguità di certe espressioni espone i cittadini all’arbitrio di chi hanno di fronte e pone anche noi in una condizione di maggior dipendenza dal nostro superiore gerarchico o dal politico: in mancanza di norme chiare, siamo più esposti agli umori e alle pressioni esterne.
Oppure siamo inibiti nella scrittura del tal Regolamento o Carta dei servizi perché avvertiamo la ritrosia dell’amministrazione comunale nel prendersi impegni che la vincolano sul piano economico. Quindi pratichiamo una specie di autocensura preventiva. Io credo invece che ciascuno si deve prendere le proprie responsabilità: lasciamo al politico quella di scegliere (magari dopo che gli abbiamo argomentato le nostre idee) e cerchiamo di agire appieno il nostro mandato professionale, esprimendo valutazioni che, pur consapevoli del contesto istituzionale, non siano già un compromesso tra il giusto e il possibile, ma siano primariamente orientate all’interesse e al benessere del cittadino-utente.
O forse non vogliamo scrivere perché anche noi temiamo che il cittadino poi “pretenda” cosa e come dobbiamo fare? Certamente quando mettiamo una cosa per iscritto diamo più potere al cittadino, che è informato di ciò che può chiedere e di che cosa si può aspettare. Ma se siamo sufficientemente solidi nella nostra professionalità non viviamo questo come una minaccia alla nostra autonomia, bensì come il punto di partenza per una relazione d’aiuto tra due adulti.

* Assistente sociale e blogger (saperesociale.com)

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