Riorganizzazione dei servizi per l’impiego: una proposta di senso

di Sergio Bevilacqua * e  Alida Franceschina **

Chess and employment concept

Il Jobs Act è diventato legge, uno dei decreti legislativi approvati di recente dal Governo riguarda i servizi per l’impiego pubblici e privati rivolti alle persone senza lavoro.

Il tema è molto complesso e induce gli operatori dei  servizi sociali a chiedersi cosa ne sarà del collocamento mirato disabili, quale sarà il ruolo delle regioni nella gestione dei servizi, la destinazione delle funzioni demandate alle province, i diritti e doveri delle persone disoccupate.
I decreti approvati costituiscono una svolta storica per le politiche del lavoro che ha riflessi anche sulle politiche sociali, per esempio nell’operato dei servizi che gestiscono l’inclusione lavorativa.  In particolare per quanto riguarda l’utenza svantaggiata che costituisce la vera emergenza con cui i servizi devono fare i conti tutti i giorni.

A proposito di valutazione dei servizi per l’inserimento lavorativo
E’ interessante vedere come si presenta questo appuntamento partendo innanzitutto dal modo in cui si è arrivati alla scadenza.  Ci arriviamo senza un’accurata valutazione, valutare non è mai semplice tanto più nel nostro paese dove ogni regione e provincia si è mossa per conto proprio. Sarebbe stato opportuno farlo ma l’operazione si sarebbe rivelata molto complessa. La soluzione è stata non fare niente.
Si sarebbe potuto promuovere almeno un’autovalutazione da parte dei diretti interessati. Così è stato per le agenzie private di somministrazione di manodopera che sulla base dell’esperienza nell’erogazione dei servizi di politiche attive del lavoro (orientamento, formazione, supporto alla ricerca attiva del lavoro) hanno proposto un criterio di valutazione molto chiaro: il numero delle persone collocate al lavoro.
Un criterio basato su un approccio di grande effetto: i servizi che funzionano sono quelli che generano occupazione. Criterio ben conosciuto dagli operatori dei servizi di inserimento lavorativo che vengono in continuazione sollecitati proprio su questo tema. Politici e anche molti dirigenti chiedono conto ai propri operatori dei posti di lavoro  individuati.
Questo approccio non considera l’insieme delle attività connesse al processo di presa in carico dell’utente. Infatti se l’azione di un SIL è valutata unicamente per il numero di persone collocate, le attività di valutazione delle caratteristiche dell’utente,  di orientamento per la costruzione di un progetto personalizzato sono destinate a sparire nel nulla perchè non risulta chiara la loro funzione.
L’esito occupazionale risuona come una sirena a cui difficilmente si resiste. Perché è una fatica per gli amministratori spiegare al cittadino perché mai sostenere il costo di operatori se poi la loro azione, in definitiva, non genera posti di lavoro, occupazione.
Questo tema è all’ordine del giorno con il Jobs Act per quella parte che riguarda la strutturazione dei servizi per l’impiego. E il criterio di efficacia dei servizi proposto dalle agenzie di somministrazione rompe ogni alibi perché costringe Ministero del Lavoro, regioni, enti locali ed operatori a rispondere al quesito “Cosa rende efficaci le cosiddette politiche attive del lavoro?”
Proviamo ad entrare nel merito del tema, per farlo analizziamo il casi di un’agenzia di intermediazione che prende in carico e colloca una persona non occupata in base ad una richiesta che proviene da un’azienda direttamente all’agenzia.
Ci troviamo di fronte ad un’assunzione, quindi un successo in tempi di crisi. Ma l’efficacia dell’investimento di risorse pubbliche è relativa e tutta da dimostrare:  l’indicatore del posto di lavoro da solo non è sufficiente a dare una adeguata valutazione dell’efficacia del servizio erogato. Se l’agenzia ha un mandato da parte dell’azienda ed è quindi pagata per questo, utilizza finanziamenti pubblici prendendo in carico una persona che avrebbe collocato indipendentemente dal finanziamento previsto dalle politiche attive.
A questo punto è necessario chiedersi quale sia il costo di una modalità che propone di fatto un modello in cui l’utente si affida ad un’agenzia per la soluzione del suo problema. L’esatto  contrario di una sua attivazione autonoma che dovrebbe essere l’obiettivo delle politiche attive del lavoro.

Quale modello di presa in carico
Ma se la modalità di presa in carico non prevede un’attenta valutazione della domanda dell’utenza, perché l’attenzione è legata all’individuazione di posti di lavoro, allora il rischio è la proposizione di un servizio standard, uguale per tutti. Con esiti che potranno favorire la ricollocazione dei disoccupati forti  a svantaggio di quelli deboli che faticano ad attivarsi e abbandonando la ricerca del lavoro.
E’ necessario quindi stabilire criteri di efficacia dei servizi che coniughino la giusta esigenza di collocare l’utenza in carico nei servizi con la necessità di definire con attenzione esigenze e bisogni della persona senza lavoro.
La centralità del dibattito va quindi spostata sul tema della presa incarico dell’utente ancorando a questo tema l’individuazione dell’efficacia del servizio. Ovviamente questo approccio obbliga ad uno sguardo complesso, capace di individuare indicatori certi che consentano di capire quando una persona ha la necessità di un reddito immediato e quando una persona ha invece bisogno di un percorso per definire priorità, vincoli, attitudini e competenze. E quando sono necessarie “vie di mezzo” che concilino reddito immediato con orientamento.
Da questo punto di vista l’esperienza dei servizi che si occupano di inserimento di persone disabili e svantaggiate costituisce un patrimonio di riflessioni che dovrebbe essere valorizzato in vista della realizzazione dei nuovi servizi per l’impiego.

La profilazione dell’utente
Nel decreto recentemente fa la sua apparizione la cosiddetta “profilazione” dell’utente, neologismo che intende l’attribuzione di un punteggio in base alle caratteristiche dell’utente. Le variabili riguardano: durata della disoccupazione, età, titolo di studio. In base alle informazioni che le persone potranno dare anche tramite un accesso telematico, verranno assegnate ad una classe di profilazione automatizzata. I livelli essenziali delle prestazioni previsti non  prevedono in alcun modo l’analisi della domanda esplicita ed implicita dell’utenza. Non è prevista una procedura che lo consenta e soprattutto non c’è la consapevolezza dei rischi di una mancata considerazione di questi aspetti.
Questo approccio fa emergere il rischio che l’operatore si attivi per creare opportunità, l’utente venga inserito in percorsi di presa in carico ma gli esiti non abbiano alcuna coerenza con le aspettative dichiarate dall’utente e con le aspettative dell’agenzia che ha in carico l’utente
Il dibattito attuale risulta monopolizzato da altri temi: in particolare si discute molto della centralità dei centri per l’impiego e della loro centralità nella presa in carico. Alcune regioni come la Lombardia mettono in discussione questa scelta, optando a favore di un sistema misto sostenendo che in questo modo migliorerebbe l’efficacia dell’intero sistema.
Riteniamo che il dibattito colga solo una parte dei problemi e che l’attuale processo di presa in carico pur registrando notevoli passi in avanti rispetto al passato corra il serio rischio di limitare la propria efficacia a seguito di un ’analisi poco articolata della domanda che l’utente porta ai servizi per l’impiego.
Se la procedura di accesso implica, com’è ad oggi previsto, convocazione della persona disoccupata, conferma del profilo, definizione del patto di servizio, avremo la certezza di una scelta. L’operatore pubblico o privato che sia rinuncia a priori ad analizzare in profondità la richiesta dell’utente. L’analisi della domanda si baserà unicamente sul dichiarato della persona che si presenta ai servizi. Il patto di servizio rimarrà inquinato profondamente dall’assenza di analisi degli aspetti impliciti.
Gli esiti li abbiamo già sott’occhio: persone che, pur avendo sottoscritto il patto di servizio, non si presentano ai percorsi previsti, non si presentano ai colloqui, con grande spreco di risorse. Purtroppo è una situazione che avviene già oggi e limita l’efficacia dei servizi.

Attivazione degli utenti e condizionalità
Si ritiene che la sanzione di questi atteggiamenti, la cosiddetta condizionalità, sia la risposta più adeguata. Sicuramente si rafforza quanto già presente nella normativa in atto, ma il grande rischio è quello di sottomettere l’adesione al timore della sanzione di comportamenti non coerenti con il patto di servizio.
Se è vero che è utile prevedere oltre che i diritti anche i doveri da parte della persona senza lavoro, diventa altrettanto efficace legare il successo della riorganizzazione dei servizi ad una analisi disincantata delle esperienze di politiche attive e delle esperienze di inserimento lavorativo condotte in ambito sociale.

La nostra proposta
Riteniamo che alla proposta elaborata dalle agenzie di somministrazione che segnala l’importanza del posto di lavoro come indicatore dell’efficacia dei servizi per il lavoro, vada affiancata un’altra proposta che riguarda l’importanza dell’analisi della domanda dell’utente. Indicatore da inserire nei livelli essenziali delle prestazioni nelle convenzioni che andranno firmate tra regioni e Ministero nelle prossime settimane.
E’ importante che i temi sottesi alla riorganizzazione dei servizi per l’impiego non costituiscano materia di dibattito fra pochi esperti. Com’è già successo per il dibattito sull’articolo 18 che riguardava poche migliaia di persone, sarebbe utile che il tema dei servizi fosse di interesse amplio e diffuso dal momento che riguarda 3 milioni di persone ed il futuro dei servizi per l’impiego.
Infine riteniamo utile un dialogo fra le politiche attive del lavoro e quelle sociali perché le esperienze legate all’inserimento lavorativo possono costituire un riferimento concettuale utile per orientare la riorganizzazione dei servizi per l’impiego.

* Esperto di interventi rivolti alle organizzazioni che erogano i servizi per l’impiego

** Esperta di interventi rivolti a persone senza lavoro e counselor professionale.

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