Quando inizierà l’Anno Nuovo delle Donne?

di Marina Cenzo*

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Laurie Penny

Internazionale del 11.01.2013 pubblica “L’anno nuovo delle donne”, un articolo di Laurie Penny, giornalista britannica, columnist del settimanale New Statesman e collaboratrice con The Guardian.

In questa analisi la giornalista, partendo da un Twitter del capo della polizia britannica di Hastinfs, Hearther Keating, che, nella notte del 31.12.2012 esortava le donne a non bere troppo per poi pentirsene, fa un analisi critica, attenta e sottile della “cultura dello stupro”. Rileva la giornalista che ancora ai giorni nostri spesso la donna viene tacciata di mettersi nella condizione di essere stuprata, retaggio di antichi stereotipi che vogliono la donna emancipata e autonoma, terreno di caccia libera. Ma è anche vero, sottolinea la giornalista, che spesso questi tipi di “consigli”, di viaggiare a testa bassa, sotto tono, senza dare troppo nell’occhio, vengono dati alle donne non dai soliti misogini ma, invece, proprio dalle persone che vogliono proteggere le donne, amano le donne. Pensiamo alle raccomandazioni che ogni genitore dà ai propri figli quando escono la sera, pensiamo alla differenza tra quelle date ai nostri figli maschi e alle nostre figlie femmine. Anche alla madre più attenta, aperta, emancipata sarà scappato uno “stai attenta, non bere troppo, copriti di più… ”come se l’essere o non essere violentate dipendesse dalla donna, dai suoi comportamenti e non da chi agisce violenza”.

In questa analisi la Penny, però, apre uno spiraglio di ottimismo. Legge con entusiasmo i movimenti delle donne indiane che, dopo la morte sopravvenuta a seguito di uno stupro subito il 16 dicembre 2012 da una giovane studentessa del settore paramedico, ribattezzata dai media “Nirbhaya” (Colei che non ha paura), su un autobus privato usato per tornare a casa dove, nonostante avesse preso la “precauzione” di farsi accompagnare da un amico, sei uomini, dopo aver immobilizzato e malmenato l’uomo, si abbandonarono in modo selvaggio ad inenarrabili violenze nei confronti della giovane utilizzando fra l’altro anche una sbarra di ferro, hanno iniziato ad alzare la testa, non considerando più la violenza come un dato di fatto da accettare, una condizione naturale, partecipando apertamente ed organizzando manifestazioni, veglie, cortei durante i quali hanno gridato la loro voglia di non essere più complici dei loro stessi stupratori.

La chiusa dell’articolo recita “E’ questo che dobbiamo cominciare a dire a tutte le ragazze del mondo. Lo stupro non deve per forza far parte della vita. Non spetta a voi stare attente, limitarvi, non dare nell’occhio e comportarvi bene per non essere violentate. Se decidete di vivere nel terrore della violenza maschile, nessuno vi biasimerà, quel terrore è legittimo e spesso le donne che parlano troppo forte, civettano troppo o si mettono in situazioni pericolose corrono gravi rischi. Ma li corrono anche quelle che non lo fanno. Una vita vissuta nel terrore, come ci hanno insegnato alla fine del 2012 le donne indiane e i loro sostenitori non è una vita libera. Nel 2013 dobbiamo fare una scelta. Se accettare la violenza sessuale, insegnando alle nostre figlie a temerla o comportarci come se fossimo all’inizio di un mondo migliore.”

Oggi, nel 2014, possiamo dire che nel 2013 è iniziato un mondo migliore, l’anno nuovo delle donne?
In realtà, se guardiamo i dati anche solo italiani, (meri numeri, vero, ma per chi lavora nel settore sono visi, storie, percorsi), non sembra che il 2013 sia l’inizio della fine delle violenze. Anzi. Guardando “L’indagine sui femminicidi in Italia realizzata sui dati della stampa nazionale e locale: anno 2013” redatto a cura del Gruppo di lavoro sui femminicidi, Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna, notiamo un incremento del dato, con 134 donne uccise, rispetto ai 126 del 2012.  Ed è un trend sempre al rialzo, sin dal 2005, anno in cui il gruppo di lavoro ha iniziato ad analizzare i dati della stampa. Ma la cosa che appare più rilevante, a mio avviso, è l’aumento notevole di tentati omicidi, passato dai 47 del 2012 agli 83 del 2013.
Questo dato, rilevato intendendo come “tentato omicidio” gli episodi di estrema violenza in cui la vita delle donne è messa seriamente a rischio, sottolinea, a mio avviso, una non diminuzione della percezione della donna come “proprietà” da parte delle persone che le usano violenza. Infatti anche i tentati omicidi, in percentuale alta, sono realizzati da partner o ex partner delle donne vittime e spesso, come gli omicidi, sono legati a doppio filo alle violenze, spesso taciute, che le stesse vittime subiscono per anni tra le mura domestiche.

E allora, mi chiedo, il nuovo modo tanto atteso dov’è? Cosa sta cambiando realmente, se sta cambiando qualcosa.
A livello di attenzione sono stati fatti passi in avanti. Primo tra tutti è stata, il 28.05.2013 giorno dei funerali di Fabiana Luzzi, ragazzina appena 16enne, accoltellata più di 20 volte e data alla fiamme ancora viva da Davide, 17enne suo fidanzato, la ratifica della convenzione del Consiglio di Europa (Instabul 2011).
Nella premessa della convenzione, che consta di 81 articoli, si sottolinea che “il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne” e che “la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”. Ancora in premessa viene riconosciuta “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere”, e che “la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. I Paesi che sottoscrivono la Convenzione “adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e segnatamente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata”, e “condannano ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne”, adottando misure legislative e di altro tipo necessarie per prevenirla, inserendo in Costituzione e negli altri ordinamenti il principio della parità tra i sessi, garantendo “l’effettiva applicazione del principio”, prevedendo sanzioni, abrogando le leggi e le pratiche che discriminano le donne.
Si tratta molto dell’aspetto legale/giuridico/repressivo del problema, lasciando in sottofondo tutta la parte culturale, di prevenzione. Cosa che accade anche nel decreto, poi trasformato in Legge n. 93 ad ottobre 2013 dallo Stato italiano con 143 voti favorevoli, 3 contrari e nessun astenuto. Su 11 articoli solo 5 sono sul contrasto al femminicidio, gli altri trattano dei cantieri della Tav, della protezione civile e dei vigili del fuoco, cosa che ha fatto gridare allo scandalo l’opposizione dell’epoca, tacciando, di fatto, la maggioranza di aver venduto come Legge contro la violenza di genere un nuovo ‘pacchetto sicurezza’. Le nuove norme previste dalla Legge contro il femminicidio, tanto attesa da tutti, si basano soprattutto sull’inasprimento delle pene e delle misure cautelari. Nella Legge vengono previste aggravanti per i violenti e nuove misure a tutela delle vittime, risorse finanziarie per il piano di azione antiviolenza, l’estensione del gratuito patrocinio, la rete di lavoro per le case-rifugio. Si estende anche alla violenza domestica l’ammonire il responsabile aggiungendo anche la sospensione della patente da parte del prefetto, una misura preventiva già prevista per lo stalking. Non sono ammesse segnalazioni anonime, ma è garantita la segretezza delle generalità del segnalante.
Le istituzioni, i media, tutti ne hanno parlato, nel bene e nel male. Molto rumore mediatico ha sollevato sia la ratifica della convenzione di Istanbul per la concomitanza dei funerali della giovane Fabiana, sia la trasformazione del decreto in Legge, per i vari botta e risposta molto accesi delle due opposte fazioni politiche.
Eppure, dato paradossale, il numero di femminicidi nel 2013 è stato superiore rispetto al 2012. Perché non è bastata nemmeno una Legge così ferma nelle condanne a far diminuire la violenza di genere?
La spiegazione, a mio avviso, va proprio cercata nella Legge, nella lettura che dà del problema. Ritornando all’articolo da cui siamo partiti, dove veniva sottolineato che la nostra idea di rendere sicura la “vita” delle nostre donne, delle nostre figlie, madri, sorelle, passa ancora tramite raccomandazioni alla LORO intelligenza, alla LORO attenzione al non essere troppo visibili agli occhi dell’orco, notiamo che la Legge non fa altro che seguire quell’onda. Nulla si dice all’autore della violenza se non che è “stato cattivo” e pertanto va punito per ciò che ha fatto. Non si cerca di spiegare agli “orchi” che quello che fanno non deve nemmeno essere messo in conto, che devono pensare prima di agire. Bisogna punire, certo e con pena certa, se agiscono, ma soprattutto devono, fin da piccoli, essere educati al non sentirsi autorizzati a compiere, pensare quelle violenze.
Si deve arrivare al non ipotizzare nemmeno che un uomo possa decidere di uccidere, bruciare, sfigurare una donna con l’acido solo perché lei decide di non essere più al suo fianco. Non si puo’ concepire un uomo che si ritenga superiore per nascita e cromosoma e pertanto autorizzato a “educare” una donna ai suoi voleri con ogni mezzo.

E’ da lì che dobbiamo partire. Dal pensiero che è prima dell’azione. Perché se riusciamo “solo” (e a volte nemmeno sempre) a punire chi ha compiuto la violenza, saremo costrette anche noi a pensare che, forse, perché tale violenza non accada sia meglio che la gonna sia più lunga, l’occhio meno truccato, la voce più bassa. Perché, anche se ci fosse una pena severa e certa per tutti e 134 autori di femminicidi del 2013, questo non porterebbe in vita le 134 vittime di violenza. Non darebbe serenità alle tante donne vittime di abusi.
Questo vuol dire che nel 2013 non è iniziato un mondo migliore, non è stato l’anno nuovo delle donne?
Si e no. Sicuramente non è stato l’anno della svolta epocale, come si augurava l’autrice dell’articolo. Non c’è stata la tanto attesa rivolta culturale mondiale, totale. Ma solo perché, a mio avviso, questa rivolta è partita ma deve essere ancora recepita anche e soprattutto dagli uomini.

Mi verrebbe da dire, con un po’ di sano “orgoglio femminile”, che ancora una volta sono state le donne a concepirla e portarla avanti. Ora manca il salto successivo. Dopo esserci convinte che meritiamo di più, di meglio, che meritiamo tutta la nostra autostima in quanto esseri umani, ora dobbiamo provvedere ad educare gli uomini a questo passaggio culturale.
Perché, non dimentichiamoci, che oltre ad essere le vittime, noi donne siamo anche le mamme dei futuri uomini che stupreranno, che saranno violenti. E può partire da lì, ancora da noi, la vera svolta. Non quella delle leggi, delle pene. Ma quella della cultura, dell’educazione.
Solo così avremo il vero Anno Nuovo delle Donne. Per sempre.

*Assistente Sociale, Comune di Carbonera (TV)

Nel numero di settembre di Prospettive Sociali e Sanitarie,  l’autrice firma un articolo di approfondimento sul tema

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