Libera Norima

di Francesca Stefanini; Laura Stella Sforza; Laura Bonazzi *

Preparo con cura i vestiti da indossare, il primo approccio tra noi sarà fondamentale.
Non voglio apparire troppo seria, non voglio sembrare impostata, voglio parlarle attraverso le mie scarpe un po’ adolescenziali, tramite il filo di una collana comprata su una bancarella d’estate.

Non sarà quello che indosso che farà la differenza, ma c’è un linguaggio sottile che parla agli adolescenti anche attraverso ciò che indossi.

Mi preparo con cura perché sono spaventata da questo incontro al buio che potrebbe cambiare la vita di una ragazzina di quattordici anni che si chiama Norima, che in una antica lingua straniera significa “regola”, e certamente anche una parte della mia che di Norima mi devo occupare.

I carabinieri mi hanno contattato di sera tardi, Norima e la sua amica sono state ritrovate in una città di mare a 200 km da casa, pronte per salpare verso una nuova avventura. Hanno dormito per questa notte in una comunità di prima accoglienza per minori che arrivano dal mare senza genitori, senza documenti, senza soldi… solo con la speranza di costruire qualcosa di meglio nel loro futuro.

Norima questa speranza non ce l’ha. Norima non lo vuole un futuro. Mi chiedo cosa abbiano pensato i suoi genitori quando hanno scelto il nome per lei; lei che di norme non ne ha mai avute, che è cresciuta schiava della sua libertà di poter fare tutto, che è Norima solo di nome, ma di fatto non sa cosa sia una regola, che nella sua vita non esiste una normalità.

Ci incontriamo in un cortile interno di un vecchio palazzo di questa città portuale, sono partita all’alba. Nonostante sia giugno inoltrato, per tutto il viaggio mi accompagnano nuvoloni e temporali.

Norima sta fumando seduta sui gradini, indossa pantaloncini di jeans cortissimi che evidenziano le sue bellissime gambe lunghe e muscolose, di ragazzina appena strappata all’infanzia, cresciuta decisamente troppo in fretta. Ha i capelli corti, tagliati ancora più corti e decisi da una macchinetta elettrica. Una lunga ciocca di capelli rasta arriva fino a metà schiena, intorno ci sono ricordi di questa fuga: perline, fil di ferro arrotolato, sudore e pezzi di vita rubati lungo la strada.
Ha gli occhi grandi, castano chiaro, truccati perfettamente con un filo di matita che ne evidenzia la profondità e un velo di mascara che ne risalta la furbizia. Indossa una maglietta cortissima che ci tiene a sottolineare essere di una taglia decisamente sbagliata perché rubata di corsa qualche giorno prima. Le scarpe sono rigorosamente da ginnastica, devono essere comode per essere sempre pronta a correre.

Le ragazze raccontano dei loro giorni di fuga da casa: hanno vissuto rubando nelle macchine e nei negozi, scippando anziani fermi sui marciapiedi, dormendo in stazioni e sulle spiagge. Non trapela un filo di paura, di senso del limite o della misura. Emerge piuttosto il desiderio profondo di libertà che Norima ha sperimentato e il bisogno di attenzione che solo in strada ha trovato per lei una risposta affascinante. Qualcuno per strada si è accorto di lei, le ha dato da mangiare quando aveva fame, da vestirsi quando aveva freddo, l’ha abbracciata quando si sentiva sola. Qualcuno come lei, senza norme, senza futuro.

A casa tutto questo non è mai successo. Due genitori troppo impegnati a farsi la guerra tra loro l’hanno cresciuta assecondando ogni suo capriccio, fino a non sentire più il suono della sua voce, il battito del suo cuore. Norima a casa può fare tutto. Norima può non andare a scuola se non ne ha voglia, può cambiare sezione perché i professori non la capiscono, può cambiare sport perché tutti ce l’hanno con lei, può drogarsi in casa perché è meglio che lo faccia dentro piuttosto che  fuori, può farsi piercing ovunque perché deve esprimere la sua creatività, può stare via da casa quanto vuole l’importante è che mandi un sms alla mamma per farla dormire tranquilla.

L’unica norma che Norima conosce è fare ciò che sente, l’unico motivo per cui vale la pena vivere è fare esperienze “forti”.

L’immagine che ho davanti è quella del frutto più maturo di questa società. Una ragazzina sola, senza alcun riferimento adulto significativo, senza nessun motivo per decidere di crescere se non quello di vivere emozioni “forti”. Una ragazzina triste perché non sa cosa sia l’amicizia, l’unica che conosce è quella degli amici virtuali di Facebook. Una bambina nel corpo di una donna, figlia della moderna scissione drammatica tra corpo e psiche, tra corpo e anima, tra corpo e intelligenza.

Norima è convinta che tutto quello che tocca, che attraversa, che ingoia non le farà troppo male se non l’ammazza sul momento. Norima è convinta di essere altro.

“Sono troppo piccola per un fidanzato” racconta mentre in macchina attraversiamo questa vecchi città di mare ormai scaldata dal sole.
Io sono spiazzata, capisco immediatamente che devo pesare ogni parola che esce dalla mia bocca, ogni mio riferimento culturale e sociale non può far presa con lei, rischia di creare distanza. Devo parlare la sua stessa lingua perché possa prima di tutto fidarsi di me. Devo mantenere la giusta distanza perché non si senta soffocata. Dalla mia credo di aver centrato le scarpe giuste…
Il dialogo si apre, cresce. Lei ha voglia di raccontare e io di ascoltare. Mi parla di delinquenza, di reati, di droghe pesanti. Devo cercare di non mostrarmi troppo sconvolta ma emotivamente coinvolta. Decidiamo di andare a pranzare sul porto. Norima non ha fame, lei mangia solo quando ha fame, non importa che orario sia. Prende un gelato. Le piace molto perché è “naturale”, e a lei le cose naturali piacciono molto. Mi chiede finalmente di chiamare i suoi genitori e comunica loro che sta bene ma che non vuole tornare a casa. Le ho proposto di provare a fare una nuova esperienza in una comunità insieme ad altri ragazzi. Non c’entra il tema che deve essere protetta, che deve disintossicarsi, che a quattordici anni bisogna andare a scuola e che vivere in strada è molto pericoloso. C’entra solo che in comunità c’è gente nuova che potrebbe essere interessante, e che in fondo è una nuova esperienza che potrebbe essere “forte”.
Mentre passano le ore le mie difese si abbassano, mi sono già affezionata a lei, perché è sicuramente da proteggere, perché è fragile, perché è sola, perché è estremamente bella.

Guidando all’alba speravo in fondo al mio cuore di incontrare una ragazzina totalmente “persa”, invece ho davanti il miracolo della vita umana che sopravvive a tutta questa miseria, ho davanti intelligenza, ingenuità, potenzialità. Devo mantenere la giusta distanza. Non per difendere la mia professione che spesso dovrebbe cancellarne parecchie di distanze verso le vite degli altri, ma perché, se accorcio troppo, lei scappa.
Norima mi ha dato alcune ore della sua fiducia, si lascia accompagnare in questa nuova avventura e forse in lei un barlume di umanità le sta dicendo che da soli non si può vivere e che qualcuno che si prenda cura di noi ogni tanto può farci bene. Non so quanto durerà questa scintilla, sicuramente il tempo di studiare le vie di fuga dalla comunità e scoprire se c’è un solo motivo valido per cui restare.
Nel viaggio verso la comunità mi propone di giocare a chi vede più macchine gialle. È un gioco che facevo da bambina mentre andavo in vacanza con i miei genitori. Vince Norima chiaramente. E’ troppo sveglia, troppo pronta a tutto e io sono sfinita da quanto male possiamo fare ai nostri figli, da quanto poco possiamo essere adulti credibili, da quanto sia faticoso crescere soli in un mondo di adulti tristi. Mi sento improvvisamente addosso la responsabilità di tutto questo.

Penso che di Norima ci siano piene le città e che lei è solo la punta di un mondo adolescenziale drammaticamente triste e abbandonato. Penso che faccio un lavoro importante e preziosissimo, e che la differenza la fanno le mie scelte personali e professionali, che possono poi modificare quelle collettive, che possono, a catena,  creare un mondo in cui Norima sia davvero libera di trovare la sua strada.

Appunti e spunti  metodologici

  • Uscire. Se non fossimo partite per andare a prendere Norima, sarebbe stata bloccata dalle forze dell’ordine che l’avrebbero riconsegnata esclusivamente ai suoi genitori, detentori a pieno della potestà genitoriale. Norima molto difficilmente sarebbe  venuta a colloquio con l’assistente sociale in ufficio e comunque avrebbe avuto un contatto formale e standardizzato dal quale sarebbe presumibilmente scappata.
  • Assumersi dei rischi. Ogni passo compiuto è stato accordato dalla Responsabile del Servizio che ha autorizzato i nostri spostamenti. Il rischio che gli eventi potessero svolgersi diversamente era evidentemente alto. Senza l’assunzione di tale rischio presumibilmente non si sarebbe mai creato un “aggancio emotivo” con Norima.
  • Lavorare in squadra in totale sintonia. In due ci sentivamo maggiormente rafforzate nel nostro ruolo e davamo a Norima e alla sua amica l’idea di essere più forti. Fondamentale il non contraddirsi mai tra di noi e mostrare un fronte comune di proposta e di linguaggio.
  •  Adeguare lo stile comunicativo a quello della ragazza. Utilizzo delle tecniche di rispecchiamento del linguaggio e ascolto attivo .
  • Non essere rigidi. Tentare di guidare gli eventi dell’incontro avendo un riferimento metodologico chiaro, come in un colloquio in ufficio, ma con la capacità di modellare il proprio approccio professionale in base allo svolgersi degli eventi e alle proposte della ragazza. Avere chiaro un obiettivo (che per noi era inserire Norima in comunità), ma proporlo come una possibilità alla quale deve aderire la ragazza.
  • Essere creativi e non avere paura.

[1] K. Jones, B. Cooper (2009), H. Ferguson, Lavoro per bene. Buone pratiche nel servizio sociale. Cap. 8 Per costruire fiducia. Gestione del rischio nella tutela dei minori, Ed. Erickson

[2] K. e D. Geldard (2009), Il Counseling degli Adolescenti, Ed. Erickson

* Assistenti Sociali, Ordine Emilia Romagna; equipe assistenti sociali Servizio minori e famiglie, Asp Sociale Sud Est Langhirano.

3 pensieri su “Libera Norima

  1. mauro

    ecco un aneddoto che dovrebbe “fare scuola”, su come si può svolgere lavoro sociale adattando le proprie competenze alle situazioni, e viceversa. aggiungo che questo diventa possibile quando l’accordo – come direbbero i musicisti e i compositori – avviene nel gruppo, con il pubblico, con l’organizzazione. bravissime!

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