Le mutiliazioni genitali femminili

di Ilaria Simonelli*

Quid-11Una delle problematiche più critiche emerse nei contesti occidentali conseguenti ai processi migratori è senza dubbio quella delle Mutilazioni Genitali Femminili, in quanto costituiscono un punto di incrocio tra il ruolo della tradizione culturale delle comunità che le praticano e il rispetto dei diritti umani in tema di protezione dei minori e delle donne da ogni forma di violenza.

In quanto tradizione culturale questa pratica costituisce da un lato un valore di riferimento comunitario che celebra attraverso un rituale la maturità sessuale, l’identità femminile e l’appartenenza sociale, e dall’altro un elemento di forte contrasto con il diritto delle bambine ad essere tutelate nella loro integrità fisica, psicologica e relazionale, che costituisce l’asse della loro salute.

Da qui la ricerca di adeguate strategie rivolte a promuovere l’abbandono delle Mutilazioni Genitali Femminili, condotta da parte di importanti Agenzie delle Nazioni Unite, di singoli Stati e Regioni sensibili a questa problematica, di Organizzazioni internazionali a contatto con le comunità praticanti.

Un elemento-chiave per il successo di queste strategie sembra essere legato al cambiamento delle rappresentazioni sociali della pratica, proprio perché queste influiscono direttamente sui comportamenti sociali, rafforzandoli o modificandoli.

La ricerca condotta in Emilia-Romagna, pubblicata di recente nella collana “i Quid” (1)di Prospettive Sociali e Sanitarie, deriva sostanzialmente da tutte queste considerazioni e si avvale della possibilità di confrontare le rappresentazioni sociali delle donne immigrate da Paesi africani con quelle delle donne italiane, evidenziandone convergenze e divergenze, possibilità di cambiamento culturale, attori e ruoli rilevanti per l’abbandono della pratica, all’interno di quadri di riferimento concettuali della salute, quali quello terapeutico-assistenziale, quello della prevenzione ed infine quello saluto genico.

I sistemi ed i servizi sociosanitari, insieme a quelli scolastici e giudiziari, sono infatti un asset fondamentale per affrontare la sfida del cambiamento. Gli operatori sanitari costituiscono spesso il primo punto di contatto con questa problematica, possono esercitare la loro influenza sul nucleo familiare immigrato informandolo circa  i rischi per la salute delle bambine legati alla pratica, possono stimolare ed avviare programmi di educazione alla salute nelle comunità, possono proporre interventi mirati nell’ambito delle politiche sociali e sanitarie.

(1) Ilaria Simonelli, Maria Giovanna Caccialupi, Le mutiliazioni genitali femminili. Rappresentazioni sociali e approcci sociosanitari, “i Quid” n.11, Prospettive Sociali e Sanitarie, 2014.

* Sociologa della salute e degli stili di vita