“In a day”

di Francesca Stefanini, Laura Stella Sforza e Laura Bonazzi*

in a dayLa vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per narrarla.
(G.G. Marquez)

Ho guardato con attenzione e molto apprezzato l’ultimo film evento di Gabriele Salvatores “Italy in a Day” , film girato grazie alla collaborazione di oltre 44.000 contributi video inviati da tutte le parti d’Italia. L’esplicita richiesta lanciata dai creatori del film un anno fa, è stata la seguente: “ Il 26 ottobre 2013 prendete una videocamera o un telefonino e filmate la vostra giornata. Filmate una parte importante della vostra giornata, insomma filmate quello che vi sta a cuore.”
Mi ha commosso la capacità degli Italiani di raccontarsi, anche in aspetti intimi e delicati della propria vita e la precisa scelta di raccontarsi tramite un mezzo di comunicazione come la videocamera o il telefono cellulare. Mi ha colpito cogliere in queste immagini tutta la potenza dell’interiorità delle persone, tutto il sommerso che si nasconde appena sotto la coltre di ruoli, di professioni, di categorie…
Raccontare la  propria esperienza umana all’umanità intera, senza cercare interlocuzione, risposta, confronto, dialogo; almeno non una risposta immediata. Raccontare tramite un mezzo apparentemente impersonale, perché così facendo si ha  anche la possibilità di ascoltarsi e di essere ascoltati. Forse da qualcuno, da chiunque, forse da uno, nessuno o centomila.

Credo che come Servizio Sociale dovremmo interrogarci profondamente su questo fenomeno. Probabilmente le nostre strutture, troppo legate a metodi e tecniche che poco ormai hanno a che fare con la realtà quotidiana delle persone che si rivolgono ai Servizi, potrebbero imparare molto dalla realtà raccontata in “Italy in a day”. La richiesta dei produttori del film è stata precisa: “raccontate una parte importante della vostra giornata, quello che vi sta a cuore”. E’ la stessa richiesta che come Assistente Sociale cerco di tenere a mente tutte le volte che incontro una persona che mi porta il suo bisogno.
Credo che spesso tra le pareti statiche dei nostri Servizi, manchino le parti importanti della giornata delle persone, forse alle volte mancano anche le parti più care, più intime, forse le più belle o le più dolorose.

Mi immagino un Servizio in cui le persone che portano un bisogno, possano anche decidere con quale modalità raccontarlo. Il modo in cui ci raccontiamo infatti, non è solo un mezzo, spesso è parte integrante del contenuto che vogliamo esprimere.
Mi immagino un Servizio che sa leggere tra le immagini di un video autoprodotto da una persona in difficoltà, da un minore che attraverso esso narra il suo vissuto in famiglia, da un disabile che racconta la sua sofferenza, da una donna che rappresenta le sue paure, da un anziano che esprime le sue competenze …
Un Servizio in cui l’immagine, il video, il suono, la luce, il colore, sono strumenti autorevoli tanto come il colloquio tradizionale o la visita domiciliare, che talvolta  purtroppo divengono barriere invece che aggancio relazionale, maschere invece che narrazione del se’.
Mi piacerebbe un Servizio in grado di co-generare percorsi alternativi di fuoriuscita dalla situazione di bisogno, perché aiuta le persone a leggere tra le “parti” che più stanno a cuore, tra gli spaccati più importanti della quotidianità.
Un Servizio che sa accogliere la persona nella sua complessità e ricchezza, non soltanto categorizzandola nel suo problema.

E’ proprio in questi scorci di umanità che fatichiamo a intercettare, che credo potremmo intravedere tante possibili vie di uscita dai percorsi assistenziali cronici, affiancandoci meglio  all’Altro che ci troviamo di fronte e lasciandoci probabilmente cogliere dallo stupore di scoprire mondi inaspettati. Si tratta di proporre una pratica di Lavoro sociale che possiamo definire “senza basi” (1) , che ripercorre il pensiero sull’etica del filosofo francese E. Lévinas da cui molto potremmo attingere anche in termini di pensiero sui nuovi linguaggi comunicativi.
Scorci di umanità raccontati a parole o con un video, con immagini o con suoni, che non eludono il dialogo ma che aprono a nuove prospettive del possibile.

[1]“ L’etica di Lévinas e il Lavoro sociale” di Amy Rossiter , in “Lavoro Sociale”, settembre 2011

* Equipe Minori e Famiglie ASP Azienda Sociale Sud Est Langhirano (PR)

Un pensiero su ““In a day”

  1. Barbara bezzi

    Avere la sensibilità nel riuscire a vedere il lavoro sociale come un’insieme di immagini comuni di persone che si muovono , raccontano , gioiscono significa capire che il nostro mondo e่ veramente così’ .
    Dobbiamo essere capaci di leggere velocemenete le comunicazioni immediate , essere connessi con i simboli dei giovani e la loro voglia di essere , le donne che vogliono comunque cambiare il mondo …..
    Abbiamo pianto e riso e ci siamo commossi guardando quei pezzetti assemblati di noi .
    Con la consapevolezza di continuare a vedere come un occhio di telecamera le stesse emozioni in ogni persona che ogni giorno dovremo incontrare.

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