Il punto di vista del “sociale” e del “sanitario” nella loro integrazione. Un’intervista doppia

di Elisa Fois *

logo SUSSNovembre 2008: la Regione Piemonte emana una DGR (la DGR 55-9323/08) per la creazione sul territorio dei cosiddetti ‘sportelli unici sociosanitari’: basta con i giri infiniti e tortuosi per i cittadini, serve un unico posto per risolvere tutto. All’esame della realtà, una missione impossibile. Si tratta tuttavia di un’opportunità unica per lavorare sull’integrazione sociosanitaria, per metterci mano davvero (1).
Un educatore e un’assistente sociale dei servizi sociali e un’infermiera dei servizi sanitari: questa l’èquipe degli ‘argonauti’ che hanno cercato – nella zona del biellese occidentale – di dar risposta alla domanda: ‘di che cosa è fatta l’integrazione socio sanitaria?’.


Come operatori abbiamo avuto la sensazione di dover strutturare una funzione di ‘metabolizzazione’ all’interno dei servizi sociali e sanitari e tra di loro, un sistema di ‘sinapsi’ dove la circolazione delle informazioni equivalesse ai flussi di stimoli elettrici tra neuroni e la rete di relazioni alle connessioni attraverso le quali questi stimoli si propagano. In alcuni momenti questa fatica l’abbiamo addirittura sentita fisicamente, somatizzando con mal di testa e mal di stomaco… Proprio per la densità di questa esperienza, fondamentale è stato prendersi a posteriori uno spazio e un tempo per raccontarla. Non ho resistito quindi alla tentazione di proporre un’intervista ‘doppia’ all’Assistente Sociale e all’Infermiera per ‘fermare’ sulla carta i vissuti e accostare il punto di vista del ‘sociale e del ‘sanitario’ sul medesimo percorso. Sebbene legati ad un contesto specifico e a persone specifiche alcuni stralci di questa intervista mi pare offrano interessanti spunti di riflessione.

Con tre parole, quali caratteristiche hanno connotato questa esperienza?

INFERMIERA: 1. Integrazione: da quando ci si è messi in gioco con il SUSS ho visto un cambiamento a livello operativo nel modo di rapportarsi concretamente tra le due organizzazioni. E’ migliorato il rapporto tra gli operatori sociali e sanitari. Prima erano due mondi distinti. Il fatto di avere una collega (io) che lavorava ‘accanto al sociale’ ha facilitato per i miei colleghi l’approccio con il sociale stesso. 2. Miglioramento dell’informazione: buona parte del nostro lavoro si è incentrata su questo aspetto, con l’aggiornamento del Prontuario e la creazione degli opuscoli. 2. Facilitatore: avendo individuato me come figura sia gli operatori del sanitario che gli operatori del sociale mi ‘usano’ per integrarsi con l’altra organizzazione.

ASSISTENTE SOCIALE: 1.Fatica:  perché per lavorare sull’integrazione devi interfacciarti con mondi molto diversi e modulare linguaggi e modalità a seconda del ruolo e delle caratteristiche delle persone. Devi mediare anche tra le stesse organizzazioni perché si creino condizioni che facilitino una proficua collaborazione. 2. Gratificazione: sentire riconosciuto il mio ruolo è stata una conquista ed è stato molto gratificante percepire che attraverso questo ruolo si innesca l’integrazione. 3. Senso di ‘non arrivo’: lavorare per l’integrazione significa lavorare in una situazione che trasmette un forte senso di impotenza (per la numerosità delle variabili di cui tenere conto, spesso non tutte conosciute a priori). In questo contesto è importante aver presente che anche solo il riconoscimento di un ruolo e  la condivisione  di una modalità di comunicazione sono già un risultato significativo.

Secondo te, quali sono le azioni e gli strumenti che maggiormente facilitano l’integrazione socio-sanitaria?

INFERMIERA: Avere un Prontuario Unico per scambiare le informazioni, avere degli opuscoli cartacei facilmente scaricabili e stampabili all’occorrenza, persone di riferimento che fungano da ‘facilitatori’ dell’integrazione. Gli strumenti tecnologici sono indispensabili: la volontà non basta. Sono inoltre azioni che facilitano: gli incontri periodici tra èquipe sanitarie e sociali, per lo scambio di saperi professionali, nonché la conoscenza del modus operandi reciproco dei professionisti. E’ importante che siano previsti almeno ogni due – tre mesi, che vengano calendarizzati e gestiti con la stesura di un verbale redatto su una modulistica comune, trasmesso allo Sportello Unico, per indurre e accompagnare anche i cambiamenti più banali e contrastare il rischio di dispersione.

ASSISTENTE SOCIALE: Facilitano le visite domiciliari integrate, le riunioni integrate sul territorio periodiche, gli incontri finalizzati a fare momenti di ‘autoformazione’ sul campo: ognuno riconosce nell’altro delle competenze e insieme si costruisce qualcosa. Nel sociale sarebbe invece utile – ancorché forse utopistico – un’interscambiabilità dei ruoli tra chi segue i casi e chi gestisce azioni di ‘sistema’.

Viceversa, quali sono le azioni e gli strumenti che la ostacolano?

INFERMIERA: Più che altro è l’inadeguatezza degli strumenti tecnologici: spesso non sono presenti in tutti i servizi (es. fax). Azioni ostacolanti sono inoltre tutto ciò che è ‘burocrazia’ (per ottenere una certa cosa bisogna fare spesso numerosi passaggi). Il mondo del sociale a volte ha tempi lunghi. Nel mondo del sanitario invece in alcuni casi non si mettono in atto comportamenti che facilitano l’integrazione: dietro alla scusa che ‘non c’è tempo’ può nascondersi la non capacità di intercettare bisogni di tipo sociale.

ASSISTENTE SOCIALE: L’ostacolo principale è la paura del cambiamento che investe gli operatori e si cristallizza nelle rigidità delle organizzazioni di appartenenza.

Come è il mondo del “sociale” visto dal “sanitario”?

INFERMIERA: In base a ciò che ho avuto modo di percepire bisogna innanzitutto fare una differenziazione tra mondo ospedaliero e territorio. Per l’ospedale il sociale è un mondo ‘difficile’ perché è difficile accedervi. I servizi sanitari del territorio si attivano ‘subito’. L’Ospedale non conosce la realtà del sociale, l’iter d’accesso. E’ visto come qualcosa di difficoltoso perché ‘non danno subito una risposta’. I servizi sanitari territoriali sono invece più vicini al servizio sociale: lavorano assieme sui pazienti cronici, hanno una percezione del tempo diversa. Forse sarebbe opportuna una diversificazione dei progetti integrati, suddividendoli tra progetti ‘urgenti’, progetti che richiedono un’educazione del caregiver (nella temporaneità), progetti in cui non c’è un sostegno familiare e c’è una condizione sanitaria precaria (cronicità), progetti di prevenzione.

Come è il mondo del “sanitario” visto dal “sociale”?

ASSISTENTE SOCIALE: Ho avuto modo di conoscere più da vicino i servizi sanitari territoriali (quindi mi riferisco a questi e non all’Ospedale). Rispetto al Sociale hanno una struttura più ‘rigida’, più legata agli orari. Per certi versi il sociale tende ad essere più ‘fluttuante’ e ‘flessibile’ per adattarsi alle necessità che via via si presentano. E’ un mondo che a volte ci guarda con pregiudizio, o forse – semplicemente – non coglie la complessità che spesso sta dietro alla decodifica dei bisogni sociali e alla strutturazione di una risposta alle necessità. Come d’altronde spesso noi del sociale guardiamo al ‘sanitario’ con altrettanti pregiudizi: lavorare insieme aiuta a conoscersi meglio e a superare questi preconcetti.

(1) L’esperienza dello Sportello (SUSS) viene presentata nell’articolo di M. T. Regis, E. Fois “Lavorare sull’integrazione sociosanitaria. Fatiche e azioni per il cambiamento” pubblicato nel numero 1.1 di PSS

*Educatrice, referente Servizio Adulti del Consorzio Intercomunale Servizi Socio assistenziali I.R.I.S. di Biella

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