I disturbi psichici nella globalizzazione

Dalla crisi del campo familiare ai sistemi di cura per dipendenze, anoressie e distruttività

di Francesco Comelli*

disturbi-189x300Questo testo, rivolto a studenti universitari, psicologi, psicoterapeuti, psicoanalisti, psichiatri,  riflette sul rapporto fra la crisi dei contenitori del soggetto e i suoi disagi psichici: la crisi del campo familiare e la sfiducia nelle ideologie hanno favorito una massificazione della persona che assume in toto gli stati mentali di massa, che allontanano il “negativo” o le esperienze soggettive, per identificarsi in inautentico tutto “positivo”. La rimozione del concetto di morte, grazie ad un’ipertrofia tecnoscientifica, lascia la persona incapace di sapere perché soffre o tuttalpiù la spinge a trovare “farmaci” da cui dipendere per difendersi dal dolore ritenuto inaffrontabile.


Le esperienze di gruppi di genitori, gruppi multifamiliari, gruppi équipe, gruppi allargati istituzionali (Large Group), sedute di gruppo monosintomatico per pazienti anoressico-bulimiche presenti nel testo danno conto di uno studio della crisi della famiglia. Con una costante attenzione al rapporto tra psicopatologia e cultura – anche grazie a una pluralità di riferimenti (da Bion a Pasolini, Gaber, Paolo Rossi) – l’autore propone esperienze cliniche di sistemi di cura innovativi, volti a trasformare il dolore e l’autodistruttività, spesso trasmessi fra generazioni consciamente o inconsciamente, in una crescita e in un confronto fra gli “altri” provenienti da altre culture e “noi” occidentali.
Non si può tacere sulla crisi del campo familiare forse derivante dalla sfiducia nella psiche e nelle ideologie, che hanno favorito una massificazione della persona sempre  più tendente ad assumere in toto gli stati mentali della massa, che allontanano il “negativo” o le esperienze soggettive compelsse e difficili , per identificarsi in un tutto “positivo”. La persona diventa cosi incapace di soffrire e di sapere perché soffre, essendo solo impegnata a trovare “farmaci” da cui dipendere per difendersi dal dolore ritenuto inaffrontabile, proprio forse per la rimozione del concetto di morte in ragione di un’ ipertrofia delle tecnoscienze. Ecco quindi esempi ed esperienze cliniche individuali o di gruppo di sistemi di cura innovativi per trasformare il dolore e l’autodistruttività.
Questi gruppi di esperienza clinica e di vita possono contribuire a ridurre il grado di dispersione e di azzeramento simbolico che è implicitamente presente nella condizione dell’uomo massiforme (Faucitano), che si ammala utilizzando difese di massa da emozioni di massa, abbandonando, coma la massa ha già abbandonato, il riflesso individuale dei contenitori che la massa adottava in passato come la religione o l’ideologia.
Il testo è dedicato ad Eugenio Gaburri, come segno di un legame riconoscente, con affetto e senso di mancanza, e come segno per un maestro di molti di noi, che ha contribuito a sviluppare pensieri originali e liberi ancora vivi dopo la sua morte. Ho provato pertanto, nella contiguità dell’esperienza con Gaburri e con molti suoi “fratelli” analitici, a scrivere nella tolleranza e nell’apertura, presupposti di ogni atto scientifico, ma anche con l’occhio critico da psicoanalista verso le società di psicoanalisi, indispensabile ancor più per i giovani, che possono trovare la forza per la propria formazione non disgiungendo le proprie verità da quelle che si incontrano formativamente.
Vi è il desiderio di non rinunciare a molti aspetti della psicoanalisi, ma di poterla declinare nella contemporaneità e per poter significare meglio il fenomeno del “fascino del male”: se infatti nella cultura contemporanea viene allontanato il concetto di morte o di limite sulla base di un superinvestimento nelle tecnoscienze, ecco che la psicopatologia contemporanea dà voce a questi elementi forclusi, diventando essa stessa portatrice di quei contenuti non accettabili per la cultura operante.
Ecco quindi che lo studio della crisi della famiglia può estendersi allo studio delle crisi delle famiglie psicoanalitiche, spesso profondamente malate: lo studio del rapporto fra generazioni, sia negli ambiti clinici , che in quelli delle società scientifiche, può cosi dar voce a più significati, nello studio delle familiarità sane  o malate.

Nel testo quindi ci si domanda come evolvere rispetto ai contributi dei “nonni” della famiglia psicoanalitica e come possono i pazienti elaborare anch’essi i conflitti fra le generazioni precedenti non risolti, nell’ottica di un lavoro transgenerazionale; ma analogamente come  poter mantenere  un legame con la psicoanalisi per questi nuovi scenari, senza essere “eretici”?
In questo senso pare  opportuno fare riflessioni sulle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia e  in Psicoanalisi, per evitare che esse diventino parte di un mercato emotivo di massa o di potere che rischia di incorporare la psicoanalisi invece che viverla nelle sue  potenzialità trasformative.
Il focus sul Transgenerazionale come strumento per lavorare coi pazienti resistenti cosi diffusi in Occidente segnala l’importanza  per lo psicologo, lo psicoterapeuta, lo psichiatra e lo psicoanalista di uno studio dei gruppi familiari, come gruppi a tre generazioni, lavorando sul senso del rapporto fra psicopatologia individuale e trauma o mandato delle generazioni precedenti . In particolare ciò vale per i pazienti resistenti, dipendenti o a doppia diagnosi.
Per lo studente universitario appare invece importante  coniugare elementi della propria generazione con quelli delle tecniche di cura,  con un approfondimento del rapporto fra psicopatologia e cultura, vista  sia   negli “altri” provenienti da altre culture sia in “noi” occidentali,  con un focus sulla clinica dell’ attuale, fondamentalmente le anoressie e la distruttività.
Per l ‘insegnante questo testo offre invece  uno sguardo sugli adolescenti di oggi.

Per realizzare tutto o parte di ciò le equipe possono costruire in gruppo sistemi di cura attraverso questi significanti, mediante una funzione psicoanalitica di gruppo legata al sognare e incontrare la distruttività e il “male” per trasformare aree sintomatiche autodistruttive in aree di contatto con l’alterità, osteggiata dal conformismo di massa e avvicinare così una democrazia psichica, con  un maggior grado di  verità del trauma attivo nei gruppi familiari.

Senza idealizzazioni o demagogie ci si può augurare che l’ “Uomo che verrà” (Giorgio Diritti) possa  smarcarsi dai processi esclusivamente incorporativi, annientanti  o espulsivi.

* psichiatra, psicoanalista SPI, membro IPA, didatta dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo (IIPG).

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