Costruire il welfare di domani: parole chiave, riflessioni a caldo

In attesa di avere i vostri commenti, di sapere da voi come vi è sembrato questo evento, qualche prima considerazione a caldo.

sacchettoIeri l’evento: hanno partecipato 550 persone, eravamo davvero in tanti e con tanti abbiamo incrociato sguardi, pensieri, riflessioni volanti, parole che immediatamente hanno iniziato a fornire un contributo al welfare di domani. Mentre si raccolgono i materiali prodotti per renderli disponibili proviamo a mettere in fila le parole chiave, che ieri sono ritornate in mattinata e poi nei gruppi. Ritornate perchè per chi si interroga da tempo sul futuro del nostro sistema di welfare alcune cose ritornano insistentemente. E questa è già una prima questione.

Disegnare, costruire, sperimentare

Nella sua introduzione Ugo De Ambrogio ha ricordato che 2 anni fa parlavamo di disegnare il welfare di domani. In 2 anni la proposta di riforma è stata costruita, per i prossimi 2 speriamo di poter sperimentare. Un auspicio che tutti abbiamo preso volentieri, anche perchè lo stallo di questi tempi non fa che aumentare la percezione della crisi in tutta la sua durezza.

Riformare

Quanti tentativi di riforma in questi anni! L’hanno detto e ripetuto in tanti ieri, Ranci nella sua relazione ha citato le “fonti ufficiali” di questo lavoro: Gorrieri, Commissione Onofri. Quanti tentativi rimasti a metà: la l. 328/00, la definizione dei livelli essenziali sociali. E oggi molti lavori in contemporanea che forse potrebbero trovare una forma unica (per esempio rispetto al contrasto alla povertà ci sono gruppi di lavoro che hanno proposto cose simili). Ma riformare questa parte di welfare è questione assai delicata, si vanno a toccare diritti acquisiti, si rischia di essere percepiti come coloro che tolgono le risorse alle famiglie che hanno diritto ad avere quelle prestazioni monetarie.

Efficacia, equità, gradualità e redistribuzione delle risorse

I punti salienti della proposta sono questi: tutti d’accordo che politicamente sia necessario procedere con gradualità. Anche se di fronte all’evidente disuguaglianza delle misure esistenti oggi verrebbe da dire “facciamo presto!”. Anche qualche intervento nel pomeriggio ha messo in luce come la gradualità richieda tempo e come il tempo non sia dalla nostra parte. Nemmeno la politica a dire il vero in questo momento sembra dalla parte di qualcuno. Per non “dar fastidio” a nessuno bisogna davvero andarci piano? Qualcuno si domandava: come facciamo a “far digerire” ai cittadini questi cambiamenti?  Era un richiamo a non lasciare soli i servizi.

Attivazione e partecipazione

L’appello di Ranci affinchè tutti si attivino e partecipino nei diversi ruoli e con le diverse funzioni è diventato nel corso della giornata quasi una domanda a cui rispondere. Gli operatori hanno infatti risposto chi in modo più critico chi in modo più entusiasta alla “chiamata”. Il percorso è certamente in salita, deve ancora rafforzare e diffondersi capillarmente nei territori per capire quanto può essere messo in campo in tempo breve. Dal punto di vista tecnico il professor Bosi ha detto che se si vuole fare la riforma la si può già fare, perchè il percorso è finanziariamente realistico e sostenibile. I particolari possono essere meglio studiati anche attraverso il confronto e le critiche, l’importante è partire, da qualche cominciare.

Le questioni che restano aperte

  1. Visto che altre riforme sono state tentate in passato, cosa potrebbe far marciare questa?
  2. A proposito di equità: se le misure pensate sono pensate a livello nazionale, come è possibile integrare queste con i tanti modelli di welfare presenti nelle regioni? Come possiamo effettivamente portare equità sul territorio?
  3. Se una delle questioni è proprio quella di costruire consenso politico, come possiamo fare in modo che queste misure contribuiscano ad accompagnare processi di responsabilizzazione collettiva?
  4. La proposta di riforma non affronta ancora adeguatamente il coinvolgimento dei servizi sociali territoriali, che a loro volta richiedono vicinanza, accompagnamento, anche per ricostruire un senso del lavoro sociale che questa crisi, i tagli ai servizi e il contesto sociale hanno messo in fortissima difficoltà. Occorre recuperare energie e pensiero.
  5. Queste proposte potranno avere le gambe se si innesca un percorso di reale cambiamento che coinvolge i servizi. E questo cambiamento parte dalla relazione con i cittadini che diventano soggetti con cui lavorare, non semplicemente “utenti a cui dare”.
  6. C’è molto lavoro da fare, ma le energie e la voglia non mancano. C’è voglia di uscire dal nulla in cui ci siamo e ci hanno cacciati.

Si accettano, anzi richiedono, elenchi di altre questioni, dubbi, perplessità, aperture e chiusure…. vogliamo parlarne ancora. Non finisce qui. Ma da qui si inizia.

3 pensieri su “Costruire il welfare di domani: parole chiave, riflessioni a caldo

  1. Claudio Castegnaro

    Aggiungerei ai punti ben evidenziati da Diletta, in particolare quello intitolato Efficacia, equità, gradualità e redistribuzione delle risorse, la “pista” evocata dal prof. Onida e cioè la fattibilità delle proposte di riforma discusse al convegno. I riferimenti infatti non mancano: impianto organico delle politiche e ottica di sistema, criterio solidaristico declinato a livello dei nuclei familiari, concreta possibilità di incidere anche sui famigerati diritti acquisiti, purché si perseguano scopi e si controllino effetti di interventi improntati a “ragionevolezza”.

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  2. Paolo Pozzani

    Sulla corretteza delle parole-chiave niente da dire. O anzi moltissimo, ma non qui ed ora. Viene più facile e breve accennare a quello che (ancora) non c’è o non abbastanza. Ho la testa piena di recenti letture non del tutto ortodosse e quindi la butto lì: innovazione, finanza sociale, ibridi profit / non-profit. A leggere certe riflessioni di questi ultimi tempi sembra di essere su Milano Finanza: crowdfunding, private equity, venture capital, social bonds e via così. A parte il gratuito aggiornamento del nostro lessico british, cosa dobbiamo dire su questi flussi di pensiero (e di azione) che vengono da fuori del classico alveo del non profit ma che con crescente frequenza ed intensità vi si innestano? Queste cose fanno già parte del Welfare di domani e quindi dobbiamo considerarle nel nostro argomentare? Credo non sia solo moda, e che si tratti invece di un nuovo aspetto del rapporto pubblico – privato, che ora diventa (anche) rapporto profit /non profit. Grande è il disordine sotto il cielo, e dobbiamo esserne contenti.

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