Continuiamo a conciliare per costruire il nostro Piano C

PianoC

Mi è capitato in passato un paio di volte di scrivere di Piano C. Ora siamo a 6 mesi dalla sua apertura e inaugurazione, sono una coworker, purtroppo non riesco a partecipare alla vita della community come vorrei, ho potuto apprezzare il cobaby anche se usiamo prevalentemente l’asilo nido. Certo scusate, vi starete chiedendo cos’è Piano C.

Piano C (www.pianoc.it) è un progetto pensato e ideato da Riccarda Zezza, una 40enne che, dopo 15 anni in azienda, decide di buttarsi in una avventura imprenditoriale complessa ma molto stimolante, avendo fatto un’analisi appassionata della propria vita lavorativa dopo la maternità.
Piano C è uno spazio di coworking, ma vuole essere molto di più: un luogo dove poter costruire relazioni professionali, reti, pensato in particolare per le donne che riprendono a lavorare dopo la maternità, con figli piccoli e piccolissimi. In questo caso il servizio di co-baby, va incontro alle esigenze delle mamme lavoratrici: i bimbi ricevono attenzioni e cure necessarie in compagnia di competenti ed esperte educatrici ad un passo dalle loro mamme.

“Il Piano A sono io e il mio lavoro, il Piano B sono loro (tutti loro…), ci vuole un Piano C”

Era la canzoncina intonata da Riccarda in persona, comparso su youtube l’anno scorso a luglio: il link era in fondo all’articolo su La Repubblica online di Milano. Presentava la sua idea. E che idea! Finite le ferie le ho scritto e ci siamo incontrate. Entusiasmo contagioso, idee a valanga, energia allo stato puro: il succo di frutta più energizzante che abbia mai bevuto.

A dicembre 2012 apre Piano C e ovviamente mi iscrivo: tra l’altro risulto nella contabilità dell’azienda la “prima iscritta”. Presto il progetto comincia a diventare realtà e ad essere diffuso: lo trovate in ogni rivista o sito italiano che abbia a che fare con il femminile, le donne, l’imprenditoria. Abbastanza velocemente si diffonde, ma resta un difficile modello replicabile: vince il premio europeo social innovation, ma in Italia Piano C non è ha i requisiti per essere considerata innovazione sociale. Tg2 Dossier intervista Riccarda che spiega meglio i perchè di Piano C (minuto 1’26”). Il coworking intanto si diffonde, diventa materia su cui il Comune di Milano investe, la conciliazione vita-lavoro una priorità per Regione Lombardia.

Cosa sta accadendo ora a Piano C

La community, uno dei primi obiettivi di Piano C, sta crescendo: lo si capisce dal numero di attività e iniziative che vengono proposte, dalla partecipazione ad eventi formativi (il Manic Monday è un appuntamento per chi è già iscritto e per chi ancora non lo è). Lo si capisce anche dai papà che iniziano ad occupare le scrivanie, facendo telelavoro e portando con sè i propri figli. Piano C è diventata la sede di Valore D, associazione composta da donne manager rappresentanti di 80 aziende e multinazionali. Non vuole dunque solo essere un servizio o un’impresa, in questo momento è soprattutto “terreno fertile”, si propone di essere il centro della progettazione nel mondo dell’impresa femminile, un punto di riferimento.

Il rapporto con la crisi

L’impressione è quella che si stia faticosamente tentando di prendere la crisi di petto per provare a ricostruire uno spazio sociale importante, a ricomporre ciò che il mondo produttivo ha contribuito a scomporre, parcellizzare, frammentare negli anni. Provando a considerare il momento della maternità come un momento generativo, fornendo uno strumento interessante per non affrontare quella fase della vita delle donne (e degli uomini) solo come crisi, pericolo, ansia, soprattutto se connesso al rientro nel mondo del lavoro.

Un pensiero su “Continuiamo a conciliare per costruire il nostro Piano C

  1. Cecilia Guidetti

    Ho provato Piano C e l’ho trovato accogliente e ben pensato sotto ogni punto di vista: si può lavorare, intessere relazioni, trovare servizi salvatempo e tutto questo avendo i propri bambini a pochi metri di distanza, accuditi da persone competenti. Insomma, cosa desiderare di più?
    E oltre a questo, come dici, ho percepito anche io un’attenzione a promuovere un pensiero, a “ricomporre ciò che il mondo produttivo ha contribuito a scomporre, parcellizzare, frammentare negli anni”, provando a ripensare la genitorialità come momento generativo e non come momento critico e ostacolante la produttività delle persone.
    In questo senso “piano c” è un’esperienza bella e innovativa ma tanti “piano c” non rischierebbero di alleggerire il mondo produttivo da una sua responsabilità, quella di affrontare un cambiamento culturale sperimentando nuovi strumenti e soluzioni per favorire la conciliazione tra vita e lavoro?
    Esternalizzare la soluzione (in questo caso proporre soluzioni presso “piano c”, quindi al di fuori del posto di lavoro) non rischia di spostare il problema? E di mettere delle toppe nei momenti più critici dell’incastro tra vita familiare e vita lavorativa (ad esempio la prima infanzia dei figli) senza trovare soluzioni a lungo termine? E soprattutto senza richiedere una “presa in carico” del problema da parte di chi ne ha la responsabilità: le aziende e le imprese dove le persone lavorano.

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