Archivi categoria: Parole

Il tassista si è perso

di Pierluigi Emesti*

Nella via dove abito vedo ormai da parecchi mesi un tassista che nel corso di questi anni ho visto diventare vecchio insieme alla propria Fiat 128 gialla.

Sì, ormai in pochi si ricordano che i taxi un tempo erano gialli a Milano, ma questa 128 resiste ancora indomita e il suo proprietario, sebbene non eserciti più e abbia tolto le insegne dalla macchina, continua con tanta attenzione a prendersene cura.

Quotidianamente la spolvera e la tiene in ordine, ogni tanto la accende e sente il suono della sua compagna di tanto tempo.

Ultimamente questo signore passa sempre più tempo seduto all’interno dell’abitacolo,  lo vedo parlare da solo, come se si stesse rivolgendo ad un invisibile cliente.

A volte invece sta zitto e si guarda in giro, osserva ciò che si svolge all’esterno della sua vettura.

Pare che si trovi molto bene, protetto dal mondo esterno e dal tempo che passa. Continua a leggere

Ma l’amor mio non muore

di Pierluigi Emesti*

 

È difficile da ammettere, è anche difficile da percepire, oltre che raro.

Visioni che normalmente mi arrivano nella mia periferia milanese:  i molti immigrati di vario ordine e grado che aprono e chiudono attività commerciali, i tanti anziani che sopravvivono nelle case popolari, i minori spesso lasciati soli in giro per le strade fino a tarda ora su improbabili bici a noleggio, sono cose che ormai guardo senza stupirmi. Continua a leggere

Tempi di incontro

di Patrizia Taccani*

“Vorrei parlare dei momenti felici che oppongono resistenza all’epoca presente, al terrore, all’invecchiamento o alla malattia: sono quelli che definirei “momenti di felicità nonostante tutto”. […] Sono momenti di felicità privati […] Qualche spirito sofistico potrebbe dirli “egoisti”. In verità, sarebbe più giusto definirli inaffondabili, capaci come sono di sopravvivere alle tempeste che lacerano l’anima, alle inondazioni che la soffocano e la sommergono. […] Sono momenti di felicità semplice dei quali si avverte la necessità vitale non appena ci vengono a mancare.”[1]

Siamo un piccolo gruppo – sette donne e un uomo – intorno a un tavolo a leggere queste parole. Ci accomuna (in ruoli diversi) un lavoro volontario accanto ad anziani, spesso ben poco autonomi, che vivono nelle loro case, qualcuno solo, i più in compagnia di una donna venuta da lontano e che oggi “bada” a loro, in una non sempre facile collaborazione con figli e figlie impegnati altrove, nel lavoro e con la famiglia.  Un volontariato nato in una parrocchia del milanese, che dura da diciotto anni. Giusto, il gruppo sta per diventare maggiorenne. In questo non breve arco di tempo diversi volontari sono usciti dal gruppo per ragioni diverse, altri sono arrivati, poi ci sono gli “storici”; alcune delle persone seguite sono divenute centenarie e anche ultracentenarie. Certo, molte se ne sono andate, qualcuna prima in casa di riposo, e poi dalla vita.

Il nostro è un gruppo resistente e resiliente, un po’ appartato rispetto alle attività più tradizionali del contesto parrocchiale. Il volontariato si svolge in modo individuale, ciascuno segue uno o due persone con i tempi concordati direttamente. Il contenuto dell’intervento è sostanzialmente riconducibile al termine relazionale. Fare compagnia: una semplificazione? No, se teniamo presente la radice della parola, “essere partecipi dello stesso pane”. In questo caso si è partecipi dello stesso tempo, un tempo dell’incontro, un tempo di comunicazione e di costruzione di un legame. Di questo ci si alimenta, reciprocamente. Con facilità a volte, a volte con fatica. Continua a leggere

Ricordati dei fiori

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Il senso del tempo e la questione della libertà nella relazione di cura

di Monica Murabito*

Help Sign Shows Lost In Maze Emergency

La domanda intorno alla quale ruotano le mie riflessioni riguarda lo spazio di libertà tollerato dall’assistente sociale all’interno della relazione di aiuto: quali margini di libertà e quali tempi si permettono alla persona nel decidere il proprio percorso di cura?

Chiarisco subito che il mio è uno sguardo sentimentale sulle cose, cioè, etimologicamente, una percezione delle impressioni, un esercizio della sensibilità.
E’ mio interesse analizzare ciò che accade quando l’operatore è immerso nella pratica di cura, fermare l’immagine e approfondire il ruolo dell’assistente sociale nel momento specifico del colloquio, dell’incontro con l’altro, in particolare quando ci si deve confrontare con le “resistenze”. Continua a leggere